In uno splendido paesino della Provenza si sono
mescolati arte e vino, dando vita ad una originale rassegna per turisti,
visitatori ed assaggiatori.
L’inizio
dell’esposizione è stato il 18 aprile 2015, ma le 33 cantine di vignaioli
coinvolte hanno aperto i battenti già dal 14 aprile a Gigondas. Al 23 luglio dello stesso
anno le sculture e i vignaioli erano ancora a disposizione della clientela, dei
curiosi e dei visitatori con 66 tipi di vino. Gli artisti in mostra sono 33,
con un totale di 66 sculture esposte
all’aperto, lungo i vicoli stretti del paesino medievale o nelle piazzette
pittoresche, nelle nicchie, in sale pubbliche e nei posti più incredibili.
Plume d’Ange, opera in poliuretano ed alluminio, del 2014, di Francis Guerrier. Foto di Elio Varutti
Il valore artistico di
ogni scultura è indiscusso. “L’arte – ha scritto Martin Heidegger – è il porsi
in opera della verità”. (L’origine
dell’opera d’arte, in Sentieri
interrotti, traduzione italiana di P. Chiodi, Firenze, La Nuova Italia,
1968, p. 25). Allora ogni tentativo di critica d’arte, forse un po’ divergente,
qui rilevabile, va solo nella direzione di dare più informazioni al lettore
riguardo alle opere d’arte, in senso euristico. Ogni paragone – seppur
elementare o, per qualcuno dei lettori, perfino banale – è solo il punto di
vista dell’autore, che valuta molto positivamente la mostra di Gigondas nel suo
insieme, non solo sotto l’aspetto dell’arte, ma pure in veste economica,
considerato il coinvolgimento delle aziende vitivinicole.
Un plauso va proprio
agli enti organizzatori del particolare evento culturale enologico che sono L’association Gigondas d’Hier et
d’Aujourd’hui reçoit le soutien de l’Appellation Gigondas «La Vinaltude», du
Conseil Général de Vaucluse, d’Inter-Rhone (Section Gigondas), de la
Municipalité de Gigondas.
Alcuni lavori sono
totemici, statici e posizionati lì come statue o monumenti. Altre produzioni
artistiche tentano un inserimento e un coinvolgimento dell’ambiente
circostante. È questo il caso della Plume
d’Ange, opera in poliuretano ed alluminio, del 2014, di Francis Guerrier.
La bianca piuma gigante, di 12 metri, fissata ad una molla altrettanto notevole
per dimensioni, si piega, si sposta col vento, facendo dei rumori di certo poco
paradisiaci e molto legati alla società industriale. La piuma è come il mondo
d’oggi, che oscilla in cerca di sicurezze, senza riferimenti ideologici. Tale
piuma, sospinta dal Maestrale, potrebbe essere un concetto parallelo alla
società liquida del sociologo Zygmunt Bauman?
Seguendo il catalogo
dell’esposizione, Jullien Allegre ha presentato tre sculture in metallo o
bronzo di notevoli dimensioni del 2013-2015. Il suo totem intitolato Homme fossile, del 2015, mi ricorda il
risultato di uno speronamento navale, con i legni sbrecciati, per cui la figura
antropomorfa porta i segni di uno scontro navale. Come si vedrà, i totem
abbondano in questa rassegna.
Altri pezzi da totem
sono i corpi umani, alti quasi un metro, con teste animali più o meno cornute
di buffalo, di gazzella e di giraffa di Cyrille Andrè. Sono tutte opere in
alluminio del 2013, quasi da scena teatrale dell’antica Grecia, se non fosse
per il titolo e l’evocazione africana che esso comporta. Sono intitolate
appunto: Ghazâla, Zerâfa e Bufala.
In primo piano: Tiery
Lancereau Monthubert, Sculpture en sequoïa. Il cubo giallo a destra è: Tableau plié di André Stempfel, del
2011. Foto di Elio Varutti
Sulla stessa linea
d’onda si è messo pure Michel Audiard, per lo meno a livello d’immagine. Egli
ha presentato una decina di sculture in inox laccato a colori rosso, giallo,
viola, verde, nero… delle dimensioni varie, ma attorno ai 180 x 70 cm. Anche
qui sono raffigurati dei corpi umani vezzosamente femminili e dignitosamente
maschili con testa d’animale, mentre sono in atteggiamento di suonare per
un’impossibile orchestra, peraltro priva di direttore. I suoi sono prototipi,
oppure pezzi numerati, a base di riproduzione 12. Ci sono un cigno, un
coniglio, un pipistrello, un cervo, un fagiano, un furetto, una mantide
religiosa…
Laurent Baude ha
esposto un pezzo unico, alto 2 metri su una base di 60 x 60 cm, del 2012,
intitolato Elevation 2. I materiali
usati sono: acciaio, plastica e ottone. Il risultato – a mio parere (del tutto
personale) – sembra un serpente che si eleva al suono del suo domatore. Grande
è l’effetto scenico, dato che la chiara scultura è situata all’aperto, davanti
a dei cipressi verde scuro, che la evidenziano maggiormente.
Un altro artista con un
pezzo unico in mostra è Bruno Bienfait. Con Flottement,
del 2014, alto 3 metri, su una base di 40 x 20 cm, egli ha scolpito e scanalato
nel legno di cipresso, dipinto e patinato, una forma tipo monolite a regolari
onde. Potrebbe sembrare una riga di tegole appaiate, che si stringono verso
l’alto in uno dei tanti tetti… della basse case provenzali.
Pure Philippe Berry ha
portato un pezzo solo in bronzo, segnato e numerato 4/8, alto due metri, del
2013, intitolato Les éléphants.
Curioso è il soggetto; si tratta proprio di tre elefantini che si reggono
vicendevolmente sulla proboscide, a due a due, mentre il terzo si sforza di
sopportare gli altri due sul terreno. La torre elefantiaca rappresenta la
precarietà e la voglia di stare in equilibro dell’uomo d’oggi nella
società sempre più complessa?
Philippe Berry, Les éléphants. Foto di Elio Varutti
Dominique Coutelle ha
esposto una scultura in acciaio, di metri 2,80 x 1,05 x 1,05, intitolata Le roi
e la reine 2. A me, che son friulano, ricorda le forme celtiche dei ferri
di Dino Basaldella.
Continua il percorso
artistico. Ora ci si trova dinnanzi ad un groviglio di tubi, sempre secondo il
mio modesto parere. La scultura in acciaio intitolata Tribop, del 2006 è di Lionel Chalaye. Potrebbe essere un sax
contralto, dopo che ci è caduto dalle scale e lo piazziamo lì, su tre pali.
Dimensione completa della struttura: 146 x 150 x 140. Con tutta pace di John Coltrane.
La prevalenza dei
maschi tra gli espositori è forte. La prima artista che si incontra nel
catalogo è Anne Claverie. Alta tre metri, la sua Stalagmite, opera del 2015, è fatta di caucciù nero, un uovo di
struzzo e una struttura metallica. Solo lei ha pensato alla riproduzione della
specie (con l’uovo). E l’ha piazzata in alto, in bella mostra, sulla cima del
montagnozzo fatto di caucciù. Nessun altro artista ha sfiorato tale tematica
che offre il senso della continuità della vita, senza tante paturnie.
Guillaume Castel ha
portato in esposizione su un prato due giganteschi… gomitoli di acciaio
zincato. La vita è come un gomitolo da srotolare lentamente, per non fare nodi.
Il titolo di entrambe le opere è Caïou,
del 2012. Le dimensione della prima sono 170 140 x 177, mentre la seconda opera
è più piccola.
Una scultura in tubi
d’acciaio a sezione quadrata, alta 2,56 metri, è il lavoro di Jean-Paul
Domergue. Il titolo è: Verticale. Manco
a dirlo, potrebbe rappresentare la forma dei grattacieli delle metropoli. C’è
pure un tubo inclinato. Che sia un palazzone sghembo, frutto della iperbole
fantasia di qualche creativo architetto alla Daniel Libeskind? Potrebbero
essere pure delle schematiche bottiglie di vino, visti i benemeriti sponsor
della rassegna di Gigondas…
Le forme curve hanno
attratto Bernard Autun. Col suo Pin
Parasol, alto 2,45 metri, in lame di metallo rosso, ha voluto, forse,
evocare l’ombrellino usato dalle donne orientali nelle assolate giornate asiatiche
ed europee, oppure quello usato dalle nostre ave dei primi del Novecento, quando
ancora imperversava il giapponesismo,
tanto agognato dagli Impressionisti.
Odile De Frayssinet si
è orientata sul polipropilene (materiale plastico derivato dalla
polimerizzazione del propilene), per le sue alte (oltre 2 metri) sculture in
grigio, simili a dei monoliti celtici. Vers
l’Age de fer 2 è del 2010, mentre Blanche
cet hiver è del 2014.
Sembra un mozzo
incrocio di strade, di ponti e di strutture ferroviarie o metropolitane il
lavoro in inox di Olivier De Coux, col titolo enigmatico di AD17. Dimensioni: 150 x 115 x 110.
Potrebbe essere pure un pezzo del Labirinto di Cnosso, in forma
tridimensionale. Tra l’altro, le forme che fanno sovvenire il Minotauro non
scarseggiano di certo in questa rassegna.
Régina Falkenberg ha
presentato tre stilizzati uccelli di altezza spropositata. Mentre Oiseau en bronze, del 2006, è alto 55
cm, Oiseau in bronze del 2009 è di 65
cm, Oiseau in aliminium, del
1995-2005, è addirittura di 2,35 metri. Francamente, focalizzandomi sui suoi
stilemi, mi viene in mente la sterminata e affascinante produzione di disegni
di Paul Klee.
Siamo sui due metri di
altezza ciascuna per le tre opere di Vincent Gontier. Il titolo è identico per
ogni singola scultura: Personnage en tôle
plièe oxidèe et boîte à musique 2006. Ogni singola opera potrebbe ricordare
le note musicali dell’antichità, segnate in forma quadrata, se non erro, sui
tetragrammi.
Il più ironico fra
tutti, di una ironia quasi anglosassone, è René Guiffrey. Con la sua Sculpture en verre, di 15 cm, ha
presentato una serie di lastre in vetro poggiate una sull’altra. Opera di una
semplicità disarmante, potrebbe invitarci tutti a togliere la maschera di
Pirandello portata solitamente e ad essere più trasparenti (come il vetro,
appunto) nella vita quotidiana.
Il gorilla in resina
patinato d’argento, di 140 x 137 cm, invitava i visitatori ad accarezzarlo e a
familiarizzare con lui… L’opera, del 2014, è di Sylvie Icher ed è intitolata: Grand Izingiro. L’ho accarezzato un po’
anche io.
Thomas Lardeur ha
presentato tre sculture, del 2012, in inox col titolo uguale identico: Face à face. Hanno la forma dello… “specchio
delle mie brame, chi è la più della del reame?”. Pure nell’altezza l’autore non
è lasciato andare, dato che misurano tutte e tre 82 cm precisi.
Ha utilizzato due
tronchi di sequoia Tiery Lancereau Monthubert per trasformarli in sculture,
intitolate ambedue Sculpture en sequoïa.
Alte un metro circa e di diametro l’una 97 cm e l’altra 103, possono ricordare
i contenitori etnici adoperati nella vita quotidiana dalle genti africane. C’è
allora un che di etnografico in tali opere.
Delphine Lecamp, Bob Dylan est mort, accanto a una turista. Foto di Elio Varutti
Delphine Lecamp si è
buttata sull’ironia e sul macabro che allunga la vita. Un paio di occhialoni da
sole, di dimensioni 140 x 50 x 90 cm, ha voluto intitolarli Bob Dylan est mort. Quest’opera è del
2009, in acciaio, vernici e titanio. La seconda opera in mostra è una palla
gigante con catena da carcerato del tempo dei negrieri. Si intitola Concrete Floor, 2007, per 65 cm di
diametro.
Hanno il taglio delle
guglie delle Dentelles de Montmirail
le opere scure di Christian Lapie. I pizzi di Montmirail sono lo sky line più riconoscibile di Gigondas e
dintorni. Due delle sue sei mastodontiche figure umane, dall’aspetto decisamente
ieratico, fanno la bella mostra nella copertina del catalogo. Trattate all’olio
di lino, le sue opere sono in legno di quercia, che abbonda nella zona. Ci
spingono a considerare come l’artista sia molto legato al territorio. Suivre le silence, è del 2007, le
ragguardevoli dimensioni sono: 287 x 70 x 90. Le silence brisé, del 2008, sono le due figurone della copertina,
con le Dentelles che si stagliano
sullo sfondo; dimensioni: 370 x 150 x 110. Roba da impero ittita. L’ultimo
complesso di tre figure sacre è del 2015; si intitola Dans un équilibre e misura 320 x 150 x 90. Girate l’angolo, perché
tali personaggi sono temibili…
La copertina del catalogo della mostra. Christian Lapie, Le silence brisé, del 2008.
Sylvie Maurice ha
presentato due sculture in acciaio patinato. Legate alla natura (semi, alberi)
e al territorio, le sue opere si intitolano Graine
échancrée moyenne, del 2009 e Cône de
pin n° 3, del 2010. Le dimensioni di quest’ultimo pino sono: 300 x 130 x
130 cm.
C’è un solo artista che
si firma con una sigla: MPCEM. La sua scultura in acciaio di grandi dimensioni
(165 x 120 x 90 cm), intitolata Résonance,
del 2014, ha un che di alchemico e di antiche forme celtiche allo stesso tempo.
Jean-Claude Picard ha
portato alla rassegna un’opera in resina patinata in foglia d’oro. Alta 2,20
metri oltre ad un zoccolo cementizio, ha per titolo: Sur la route N° VII. Ha una forma d’animale. Giraffa o uccello alla
Paul Klee, è un lavoro molto intrigante.
Le quattro sculture di Thoma
Ryse, dai colori sgargianti e molto ben intonati, mi ricordano – lasciatemelo
scrivere – l’automobile dei cartoon degli Antenati. Sono opere allegre,
sprizzano felicità da ogni poro. Sono tutte del 2015, in fibra di vetro armata
e resina. Le dimensioni delle prime tre sono di metri 1,30 x 1 x 0,55. Si
intitolano tutte L’Art qui repose. Solo
la quarta opera, con una sfera in inox in mezzo, oltre agli stessi materiali
delle altre tre, misura metri 1,30 x 1 x 2,80. È intitolata Jeu d miroir. Esposte sul prato fanno un
figurone!
Comporta angoli e curve
la scultura in acciaio su base di cemento, intitolata Paso, del 2003. È un lavoro di Jean-Patrice Rozand, che misura 130
x 55 x 47, oltre lo zoccolo cementizio. Mi ha fatto venire in mente il Teatro magico di Fortunato Depero, grande
futurista di Rovereto.
Pure le forme
dell’opera Sans titre, di Franz
Stähler, in legno e argilla cotta d’Egitto, ricordano un qualcosa di angolare,
di parallelepipedo. Vi sono, tuttavia, alcune curiose particolarità che spingono
ad una differenziazione scenica.
C’è qualcosa di cubista
in questa originale esposizione? Ebbene sì! Il Tableau plié di André Stempfel, del 2011, delle dimensioni 31 x 33
x 36, è un cubo giallo limone acrilico. Il materiale usato è: tela incollata su
legno. Fa la sua bella mostra nella quarta di copertina del catalogo
dell’esposizione di Gigondas 2015.
Il Tableau plié di André Stempfel, nella quarta di copertina del catalogo della rassegna di Gigondas
Anche Marcus Strieder
ha presentato forme cubiste nelle sue tre sculture in acciaio forgiato e di
formato bonsai, rispetto alle opere consorelle di tutta la bella rassegna. Strate, di misure 16,5 x 9 x 9 cm,
potrebbe assomigliare alle pietre delle mura etrusche di Cortona. Briques, del 2012, con le misure 22 x 12
x 13,50 – sempre secondo il mio modesto parere – fa venire in mente i sarcofagi
del IV, V secolo d.C., quelli di pietra grezza, senza fregi, fatti per ovviare
alle ordinarie sepolture alla cappuccina. Altre pietrone etrusche sono forse
riscontrabili nell’opera intitolata Les
inséparables, in formato scatola di fiammiferi; ecco le sue dimensioni:
17,5 x 12 x 12 cm.
Mi ha fatto pensare
all’astrattismo l’insieme delle quattro sculture in acciaio di Veronique Wirth.
Passage, alta tre metri, ha un che di
surrealista, con quella specie di peli, di capelli. Mi ha ricordato i capelli della Susanna e i
vecchioni, di pittori italiani seicenteschi. Équilibre 1,
del 2013, alta 210 cm, è un’opera sulla stabilità. Potrebbe anche essere il
simbolo della terza età, quando la schiena si incurva un po’. Équilibre 2 e Équilibre 3 , ambedue del 2013 e di 245 cm, sono come due tavolone
piantate in basso, con un vago senso antropomorfo.
Sono figurative e un
po’ imperscrutabili le sculture in bronzo di Michel Wohlfahrt. Il suo Cheval palissade, del 2010, di cm 185 x
250, mi rammenta i placidi cavalli della Camargue. Il Personnage bleu, del 2012, misura un metro e 72 cm, segnato e
numerato 2/8, a me ricorda il Santon di Saint Rémy de Provence (statuina), con
mantello svolazzante sballottato dal Mistral.
Altro scorcio della Plume d’Ange, del 2014, di Francis Guerrier. Foto di Elio Varutti
Elenco
dei vini e delle pregiate case vinicole
Ad ogni scultore, nel
catalogo, è associata una cantina di produttori vinicoli sua “madrina”. Eccone
l’elenco completo. Si segna la cantina vinicola, il vino e lo scultore. Si
tenga presente che “Gigondas” è una denominazione controllata. Qualche
vignaiolo è stato troppo generoso, così da comparire più volte nell’elenco
essendo “padrino” di più artisti.
1. Domaine Santa Duc, Gigondas, Les Hautes Garrigues
1999-2012, Jullien Allegre.
2.
Domaine de la Gardette, Gigondas cuvée
Ventabren 2011, Cyrille André.
3.
Domaine Burle, Gigondas 2012, Michel
Audiard.
4. Gigondas Lacave, Gigondas 2013, Laurent Baude.
5. Domaine de Font Sane, Gigondas Tradition, Bruno
Bienfait.
6. Domaine de Longue Toque, Gigondas 2012, Philippe
Berry.
7. La Bastide Saint Vincent, Gigondas Costevieille
2005-2009, Dominique Coutelle.
8. Domaine du Pourra, Gigondas 2000, Lionel Chalaye.
9. Domaine du Tourrade, Gigondas rouge 2012, Anne
Claverie.
10. Château de Saint Cosme, Gigondas Valbelle 2003,
Guillaume Castel.
11. Domaine Pesquier, Gigondas 2011, Jean-Paul Domergue.
12. Domaine du Clos de Tourelles, Gigondas Famille Perrin
2013, Bernard Autun.
13. Domaine Les Teyssonnières, Gigondas rouge 2001-2012,
Odile De Frayssinet.
14. Domaine Les Goubert, Cuvée Florence 2009, Olivier De
Coux.
15. Domaine du Terme, Gigondas rouge 2009, Régina
Falkenberg.
16. Domaine Raspail Ay, Gigondas 2005, Vincent Gontier.
17. Domaine
Santa Duc, Gigondas 2012, René Guiffrey.
18. Pierre
Amadieu, Pas de l’Aigle 2007, Francis Guerrier.
19. Domaine du Clos de Tourelles, Gigondas Famille Perrin
2013, Sylvie Icher.
20. Domaine La Roubine, Gigondas rouge 2012, Thomas
Laudeur.
21. Domaine La Bouissière, Gigondas 2010, Tiery Lancereau
Monthubert.
22. Domaine des Florêts, Gigondas 2012, Delphine Lecamp.
23. Domaine du Grapillon d’or, Gigondas 2009, médaille
d’or à Macon au concors des grands vins de France, Christian Lapie.
24. Domaine des Bosquets, Gigondas rouge 2012, Sylvie
Maurice.
25. Château de Saint Cosme, Gigondas Valbelle 2003, MPCEM.
26. Domaine Saint André, Gigondas 2010, Jean-Claude
Picard.
27. Gigondas Lacave, Gigondas 1985, Thoma Ryse.
28. Domaine Le Péage, Gigondas rouge 2001, Jean- Patrice
Rozand.
29. Domaine
Varenne, Gigondas 2011, Franz Stähler.
30. Domaine du Gour de Chaulé, Gigondas rouge 2011, André
Stempfel.
31. Domaine de Tête Noire, Gigondas 2014, cuvée unique,
Marcus Strieder.
32. Domaine
La Mavette, Gigondas 2001-2009, Véronique Wirth.
33. Domaine Saint Gayan, Gigondas 1998, Michel Wohlfahrt.
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