È un libro complesso sui morti nelle foibe slovene. Si nota
subito che è stato scritto col magone dentro. Vengono messi in luce delitti ed
eccidi perpetrati dalle bande titine durante e dopo la Seconda guerra mondiale,
entro gli attuali confini della Slovenia. Ne sono autori Franc Perme, Anton Zitnik, Franc
Nucic, Janez Crnej e Zdenko Zavadlav. È un argomento sconosciuto non solo ai lettori medi, ma
persino a taluni storici. Purtroppo il volume (del 2005) è esaurito, quindi non più in vendita presso la casa editrice.
La copertina del volume tradotto in italiano.
Gli autori del volume sono cinque cittadini sloveni che, forse per la prima
volta nel 2000, raccontano i massacri compiuti dai miliziani di Tito principalmente contro
i domobranci (esercito regolare
sloveno e croato, alleato dei nazisti), contro i miliziani ustascia (filo-fascisti) e contro i cetnici (monarchici jugoslavi anticomunisti) negli odierni confini sloveni. Gli
eccidi sono avvenuti in aree mistilingui. Sono quindi coinvolti anche gli ex
territori italiani della Valle dell’Isonzo e della costa istriana, come a
Tolmino, Plezzo, Caporetto ed altre zone, come Sesana, Parenzo, Aidussina,
Vipacco. Negli elenchi dei sepolcri di sloveni, italiani e tedeschi uccisi compaiono
anche località oggi in territorio italiano, come: Gorizia, Trieste e Opicina
(pp. 375-376).
Quella delle foibe e delle uccisioni slovene è una tematica
scottante e di complessa trattazione, per la deliberata carenza di documenti di
parte titina e dell’OZNA (Odeljenje za Zaštitu Naroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo, la
polizia politica titina). Essi erano poco propensi a registrare i prigionieri, prima della
loro esecuzione, preceduta da una tortura indicibile. Nel volume del 2000 ci sono oltre 150
pagine di testimonianze.
Il titolo del singolare e articolato volume, edito dall’Associazione per la Sistemazione
dei Sepolcri Tenuti Nascosti della Slovenia, è: “Slovenija 1941, 1948, 1952. Tudi mi smo umrli za domovino”,
stampato a Lubiana, Slovenia, nel 2000. È stato tradotto in italiano, nel 2005
ed edito a Milano col titolo: “Slovenia 1941, 1948, 1952. Anche noi siamo morti
per la patria”, a cura della Lega Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia, Mirabili Lembi d’Italia.
Mappa delle foibe ed altre cavità. I sepolcri della Slovenia (p. 611 del volume "Slovenia 1941, 1948, 1952").
Una prima edizione di questa poderosa ricerca storica, piena
di testimonianze, lettere, fotografie, riproduzioni di documenti, dichiarazioni
e articoli di giornale degli anni ‘90 è apparsa a Lubiana nel 1998, opera dei
soli primi due autori. Perme, nato a Pecah nel 1926, è un imprenditore
pensionato e Zitnik, nato a Grosuplje nel 1940, è stato un dipendente statale.
Dopo il 1998 gli autori hanno cominciato a ricevere scritti e
documenti di altre persone coinvolte. Hanno raccolto le deliberazioni di vari
consigli comunali sloveni sul tema della segnalazione dei luoghi dei massacri
titini, assieme a missive ministeriali, dei tribunali sloveni o di archivi
militari di Berlino. Sono arrivate lettere persino dall’Argentina, Australia,
Canada da parte di esuli sloveni (p. 14).
Tolmino / Tolmin 1938
Un altro emigrato, tale Anton Pavlic, ha scritto dalla Nuova
Zelanda riguardo al sepolcro di massa di Brezice, vicino a Dobovo, per oltre 10
mila persone, trasportati coi treni e denudati, tra i quali in maggioranza domobranci sloveni ed anche di belagardisti, eliminati nell’ottobre
1945 (pp. 712-716).
Franc Perme è fondatore, a Lubiana, sin dal 6 febbraio 1991, dell’Associazione per la
Sistemazione dei Sepolcri Tenuti Nascosti. Sotto la sua direzione
l’associazione ha fatto costruire tre cappelle, ha fatto collocare 18 insegne
con croci, crocefissi e 58 insegne commemorative su lastra di marmo nelle
parrocchie, sino al 2000. Molti di tali segni della memoria sono stati
profanati, asportati o rovinati il giorno dopo dell’inaugurazione, perché c’è
ancora tanto odio da parte dei discendenti dei miliziani di Tito, dato per
scontato che i protagonisti della guerra partigiana sono ormai scomparsi,
oppure sono molto anziani e malati.
È tutto un piantare croci e posizionare lapidi, volendo ricordare “tutti i combattenti” (p. 19) e ritrovarsele profanate, rubate, asportate, imbrattate. Vedi la Cappella profanata a lanci di vernice di pag. 200 e, per le croci rubate, si vedano le pagine seguenti. Ritengo sia la Cappella di Stari Hrastnik, lungo la strada
sul Kal; dietro alla Cappella vi è il cimitero dei domobranci sloveni.
È tutto un piantare croci e posizionare lapidi, volendo ricordare “tutti i combattenti” (p. 19) e ritrovarsele profanate, rubate, asportate, imbrattate. Vedi la Cappella profanata a lanci di vernice di pag. 200 e, per le croci rubate, si vedano le pagine seguenti.
Tra gli altri autori, Franc Nucic, nato a Podgorica nel 1929,
è un giudice in pensione, invalido di guerra, autore di libri sugli eccidi
comunisti. Janez Crnej, nato a Celje nel 1935, è un veterinario in pensione;
nel 1990 è stato eletto alla Camera dei deputati della Repubblica Slovena.
Zdenko Zavadlav, nato a Sotanje nel 1924, è pubblicista; da giovane fu capo
dell’OZNA a Maribor, ma nel 1948 fu incriminato dalle autorità jugoslave come
agente informatore e incarcerato fino al 1954, poi lavorò per l’Agenzia
turistica alberghiera fino al 1976, anno della quiescenza.
Sebastiano Pio Zucchiatti, Croce a Grosuplje in memoria degli assassinati dai titini nel 1945-1947,
pennarello su carta, cm 15 x 21, 2016. Grazie all'artista per la pubblicazione del disegno.
Croci, cappelle e lapidi servono a ricordare l’uccisione perpetrata da
parte dei partigiani contro i domobranci
sloveni e croati (esercito regolare, alleato dei nazisti) dal 1941 fino agli
anni del dopo guerra. Alcune migliaia di domobranci,
al termine del conflitto, secondo gli accordi, furono disarmati dagli inglesi e consegnati ai
partigiani di Tito, che li passarono per le armi. Gli autori del volume
scrivono di 12 mila domobranci sloveni,
18 mila croati, oltre a seimila civili eliminati nelle foibe o in fosse comuni dalla
fine di maggio 1945 in poi (p. 159).
Va accennato inoltre che nell’elenco ufficiale delle foibe
della Repubblica di Slovenia, consultabile in Internet, si nota, al n. 401, la
Foiba di Golobivnica (Grobišče jama Golobivnica), con la puntuale indicazione
della nazionalità delle vittime precipitate: slovena ed italiana.
Ci sono molte mappe dei sepolcri (ad esempio a p. 611).
Nel libro ci sono poi numerosi articoli dai giornali sloveni,
come ad esempio «Delo»
(p. 726), «L’Eco di Grosuplje» (p. 724), «Slovenec» (p. 734). C’è pure la stampa internazionale, come il tedesco
«Frankfurter Allgemeine
Zeitung», di Francoforte (p. 11-14 e p. 676).
Cartolina di Plezzo / Bovec, 1936, fotografo Agostino Negro. Stampa dello Stabilimento grafico Cesare Capello di Milano. Collezione privata, Udine
Quanti domobranci croati hanno ammazzato?
In conclusione quanti domobranci
ed altri anticomunisti croati, suore e bambini incusi, sono stati uccisi dai
titini in Slovenia? La cifra pubblicata nel volume è impressionante. Assomma ad
un totale di 222.500 persone. Si pensi che le perdite totali dal punto di vista
demografico e di guerra in Jugoslavia sono pari a 2 milioni e 22 mila individui
(come si evince dalla tabella 6 di pagina 456). Certo, in questo totale ci sono
anche le persone emigrate (o scappate), pari a 625 mila, nel periodo che va dal
1939 al 1948, dei quali 44 mila sono rimasti all’estero. I dati si riferiscono
alle province jugoslave, senza i territori annessi.
Qualcuno si chiederà come mai 222,5 mila soldati anticomunisti
croati, i loro religiosi e i loro congiunti siano finiti uccisi tutti i
Slovenia nelle foibe, nelle cave di sabbia, o nei trinceroni anticarro (costruiti
dalla Organizzazione TODT, per frenare l’avanzata dilagante del nemico). Il
fatto è che la ritirata dei nazisti e dei loro alleati, come erano appunto i domobranci, comportava anche la risalita
verso nord e verso il confine austriaco, che era Terzo Reich.
Alla fine della guerra si ritrovarono tutti imbottigliati nel
piccolo territorio della Slovenia. Tito e l’OZNA volevano fare presto ad
eliminare tutti gli oppositori e i loro familiari. Non ci sarebbe stato posto
per dei campi di concentramento e non sarebbero stati tutti nelle prigioni. Dunque parliamo di vittime, di morti ammazzati. Ecco
il risultato, allora, riprodotto nella tabella seguente, intitolata dai cinque
autori “Domobranci croati e civili
assassinati in Slovenia dal 23 maggio 1945” (p. 457):
Dal crocevia della strada Dravograd fino al confine croato 145.000
Sul montuoso Zasavski 24.000
Nella campagna Breziski – Mostec 6.000
Nel bosco dei Krakov – 11 sepolcri 5.000
Governativi croati, bambini e monache a Lancovo 1.300
A Crni Grob – ed altri governativi assassinati a Lancovo 200
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Totale assassinati in Slovenia 222.500
Lubiana, Cattedrale di San Nicola, 21 giugno 1941. Rappresentanti
delle autorità italiane: generale Mario Robotti (Comandante XI Corpo d'Armata,
che operava nella Provincia di Lubiana), l’Alto Commissario Emilio Grazioli
(Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana) procedono dietro il baldacchino. Altri militari e carabinieri partecipano alla cosiddetta “Processione del Santo Corpus Christi”.
Hvala Lepa: Muzej Novejše ZgdovineSlovenije, Oddelek za dokumentarno fotografijo / Grazie a: Museo di Storia
Contemporanea Slovenia, Dipartimento di fotografia documentaria.
Quanta Italia c’è nel libro?
Ce n’è abbastanza. Tanto per cominciare ci sono molti militari,
dato che l’Italia nel 1941 invade, con la Germania, il Regno di Jugoslavia. La
Slovenia scompare essendo suddivisa tra l’annessione italiana della cosiddetta
provincia di Lubiana e l’altra parte orientale annessa addirittura al Terzo
Reich.
Allora c’è il generale Mario Robotti, comandante delle autorità italiane
di Lubiana occupata ed annessa, intenzionato ad aprire “campi di concentramento
per l’internamento delle persone sospettate, poiché a Lubiana ve ne erano
detenute già 200 e ci si aspettava che il numero avrebbe raggiunto i 1.000” (p.
129).
Poi c’è anche un po’ di Friuli. È fatto cenno al Campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine, per detenere sospetti sloveni
e croati (p. 128). Qui finiscono molti ufficiali sloveni, con un “aiutino” dato
ai militari italiani da parte della Osvobodilna Fronta (OF), ovvero il Fronte
di Liberazione del Popolo Sloveno. Infatti i primi partigiani, sapendo che
molti degli ufficiali sloveni erano monarchici e non comunisti, li precettarono
ad entrare nell’OF con delle cartoline aperte, cosicché l’esercito italiano
venne a sapere i loro indirizzi e li prelevò tutti senza tanti problemi.
Poi sono menzionate le trattative di Tapogliano del 15 giugno
1944. Artefice di tale iniziativa è il prefetto di Gorizia, conte Marino Pace,
che prese contatti coi capi partigiani per azioni di non aggressione (pp.
350-353).
Per ringraziare l’OF dei vari favori fatti all’esercito sabaudo
imperiale, nel 1943 il generale Guido Cerutti, comandante della divisione “Isonzo” a Novo Mesto “aveva mandato tre vagoni di armamenti, munizioni e divise militari
italiane per l’Esercito di Liberazione del Popolo” (p. 144).
C’è anche una specie di eroe nel 1945, quando gli inglesi cedono
nelle mani dei titini i domobranci
disarmati. È il dottor Valentino Mersola, direttore del Campo di concentramento
dei civili. Il 31 maggio 1945 protestò con il maggiore canadese Barr, ufficiale
incaricato di consegnare i civili ai titini, perché “gli inglesi mandavano a
morte sicura una gran massa di gente” (p. 175). Le proteste di Mersola valsero
il rinvio della restituzione dei civili, così egli “salvò da morte sicura
seimila sloveni” (p. 177).
Ci sono, infine, gli italiani infoibati a Huda Jama – Lasko, pozzo
di Barbana, assieme a sloveni e tedeschi; 2000 uccisi. A Canale d’Isonzo, sotto
Hlastec, Dolic Mislinja, assieme a degli ungheresi; 100 ammazzati. Nel fossato
anticarro sotto la salita di Mislinja, assieme ad altri ungheresi e ignoti;
oltre 500 vittime. Nella foiba del bosco di Tarnova, sul Litorale, tutti
italiani; 500 eliminati (p. 784).
Canale d'Isonzo, cartolina anni 1930-1940
Elogi e pecche
Come in tutte le opere miscellanee anche questo grosso volume si presenta
in modo composito e affastellato, perché prevale l’impeto di riportare le
notizie incredibili, l’aggiornamento inedito, l’intervento, degli anni '90, di esuli sloveni dai
vari continenti.
Oltre ai molti elogi di questo volume, già menzionati, vanno
accennate, tuttavia, anche le pecche in esso contenute, come le riproduzione di documenti
titini non sempre supportata dall’indicazione archivistica (esempio: pp.
290-292). Un libro di denuncia, come questo, è logico che non sia pensato in
forma programmatica ed ordinata. Soprattutto se gli autori vengono travolti,
come in questo caso, dalle lettere di approvazione, dagli atti ufficiali di
ministeri, di tribunali, di archivi della memoria, dalle aggiunte varie, dagli
articoli di giornale sul tema e dalle becere contestazioni.
Per certi versi, a mio parere, assomiglia ai libri di
denuncia di Giampaolo Pansa, tanto per citare un autore italiano. Eppure qui,
in Slovenia 1941, 1948, 1952, si è
notata l’incoerenza di certe note a piè pagina: a p. 114 compare la nota 34, ma
non c’è prima l’antecedente nota 33 e nemmeno quelle precedenti. Si deve
dedurre che sono state riprodotte totalmente alcune pagine di altri libri
menzionati in certe parti, ma non se ne comprende bene la lettura e la ricerca
delle fonti bibliografiche, purtroppo.
La mancanza di alcuni apparati, come l’indice dei nomi e
quello dei luoghi, rende difficoltosa la lettura, la schedatura organica e la
rilettura del testo. Oltre alla bibliografia generale mancante, si nota una
bibliografia parziale (a p. 79-80). È difficile comporre un’opera “a dieci mani”.
Sarà per tale motivo che gli autori intendono chiamare il testo col semplice
termine di “Raccolta”.
In conclusione, la varietà estrema del materiale contenuto
nel volume non ne agevola l’utilizzo per fini di indagine storica a livello accademico,
come ha scritto Raoul Pupo, nella nota 4, dell’articolo “Foibe ed esodo: un'eredità del fascismo?”,
All’inizio dell’edizione italiana, infine, il traduttore si è
lasciato andare ad una “Introduzione, giudizi e chiarimenti del traduttore.
Difficoltà incontrate nella traduzione” addirittura di 66 pagine.
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Franc Perme, Anton Zitnik, Franc Nucic, Janez Crnej, Zdenko
Zavadlav, Slovenjia 1941, 1948, 1952.
Tudi mi smo umrli za domovino, (1.a edizione: Lubiana, Grosuplje 1998, col
titolo tradotto: I sepolcri tenuti
nascosti e le loro vittime 1941-1948, di Franc Perme, Anton Zitnik, pp.
277), Lubiana Grosuplje, Associazione per la Sistemazione dei Sepolcri Tenuti
Nascosti, 2000. Edizione italiana [considerata dagli AA. come la terza]:
Slovenija 1941, 1948, 1952. Anche noi siamo morti per la patria. “Tudi mi
smo umrli za domovino”. Raccolta, Milano, Lega Nazionale d’Istria
Fiume Dalmazia, Mirabili Lembi d’Italia, [2005, l’anno di stampa è dedotto,
fra le pagine 380 e 381, nella
didascalia delle fotografie a colori n. 22-23], pp. LXVI-792, euro 30. (esaurito).
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Per un approfondimento
nel web
Ho incontrato, nelle mie ricerche sull’esodo giuliano dalmata, il racconto di una uccisione di un partigiano da parte di un capo
partigiano, poiché il primo si rifiutava si eliminare un arrestato inerme,
accusato di collaborazionismo. Il fatto mi è stato riferito, il 4 maggio 2007 a
Udine, dalla signora Stefania Bukovec (Cal
di Canale d’Isonzo, provincia di Gorizia, 6 marzo 1921 – Pradamano, provincia
di Udine, 22 aprile 2015).
L’ucciso era Valentino Lipicar, di Cal di Canale d’Isonzo.
Vedi, al quinto capoverso, l’articolo in questo blog, intitolato: “Udine, Outing sull’esodo istriano alla presentazione di Rossa terra, di Mauro Tonino”, 2015.
Sulle vicende della fuga degli italiani da Tolmino, ho
ricevuto la testimonianza di Paolo Negro, nato a Tolmino nel 1942. Per la serie
“Al nemico che fugge, ponti d’oro”, che significa: “Se non vogliamo brutte
sorprese e se un nostro nemico rinuncia a voler fronteggiarci, meglio lasciarlo
andare per la sua strada”. In alcune parti della vecchia provincia di Gorizia i
partigiani titini lasciavano partire gli italiani, senza far loro alcuna malagrazia,
purché se ne andassero.
Vedi l’articolo, del 2016, intitolato: “Esodo dolce da Tolmino, 1945.”
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