sabato 28 gennaio 2017

Il Ricordo di Esodo e Foibe sprone alla Speranza, di Carlo Montani

Riceviamo da Carlo Cesare Montani, un esule da Fiume, che vive a Trieste, il seguente comunicato che volentieri pubblichiamo nel blog. Ci permettiamo di aggiungere, a corredo dell’interessante ed originale opinione, qualche cartolina della Collezione Carlo Leopoldo Conighi, esule da Fiume. Buona lettura.

                                                                 Elio Varutti
Fiume, Via Carlo Goldoni, verso il 1930, a cura del Libero Comune di Fiume in Esilio. 
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«La Legge 30 marzo 2004 n. 92, che ha disposto la celebrazione del 10 febbraio quale data commemorativa del grande Esodo giuliano, istriano e dalmata, e della tragedia delle Foibe, è stata un atto dovuto. Il provvedimento può definirsi “etico” nella sua conformità ad importanti richiami della Costituzione, ed in particolare al secondo comma dell’art. 4, secondo cui ogni cittadino deve “concorrere al progresso materiale e spirituale” dello Stato; ed al primo comma dell’art. 52, per cui “la difesa della Patria è sacro dovere” di tutti.
Venezia Giulia e Dalmazia, al termine della seconda guerra mondiale, vennero trasferite sotto la sovranità della Jugoslavia pur essendo state romane per sette secoli e venete per un millennio: con il Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 (assunto a Giorno del Ricordo), l’Italia fu costretta a cedere due regioni, pari al tre per cento del suo territorio, ma la quasi totalità degli istriani, fiumani e dalmati non volle accettare il fatto compiuto e decise per l’Esodo.
 Quella dei 350 mila Esuli fu una scelta di civiltà ed una “tragedia della libertà” (secondo la pertinente definizione di Stefano Zecchi), ma prima ancora fu un imperativo categorico imposto da elementari esigenze di salvezza fisica. Chi fosse rimasto senza appiattirsi sulle posizioni dell’usurpatore, vale a dire sull’ortodossia nazional-comunista, avrebbe rischiato la vita come accadde alle 16.500 Vittime (come da stima di Luigi Papo) uccise nelle voragini carsiche, nelle acque dell’Adriatico, nei campi di detenzione jugoslavi e più generalmente in quello che Italo Gabrielli, con felice sintesi, ha definito “Genocidio programmato”.
Fiume, Molo Adamich, fotografia del 1900, a cura del Libero Comune di Fiume in Esilio.

Emblema tipico della tragedia Giuliana sono le Foibe disseminate sul territorio regionale (nella sola Istria ne sono state catalogate oltre 1700), talvolta profondissime, spesso inesplorate: per gli assassini, agevole mezzo di esecuzioni in massa e di occultamento dei propri delitti. Quasi tutte sono rimaste in territorio jugoslavo, poi croato o sloveno, e quindi più difficilmente accessibili, mentre quelle di Basovizza e Monrupino, dislocate nell’immediato retroterra italiano di Trieste, hanno permesso di erigerle a Sacrari dedicati alla documentazione storica ed alle onoranze in suffragio delle Vittime.
Il Ricordo di maggiore impatto emotivo e simbolico è quello che si vive a Basovizza: non una Foiba in senso stretto, ma il pozzo di una vecchia miniera dalle pareti verticali, la cui profondità all’epoca dei fatti era superiore ai 250 metri. Qui, nel maggio 1945 ebbe luogo un’agghiacciante tragedia collettiva: le forze partigiane di Tito, giunte a Trieste prima degli Alleati, instaurarono il terrore per i plumbei “quaranta giorni” di occupazione. Secondo testimonianze di fonte anglo-americana, le sole Vittime della città di San Giusto furono parecchie migliaia: in parte, uccise proprio nella Foiba di Basovizza, in un clima da tregenda aggravato da surreali angherie fisiche e morali sui morituri, condannati ad una fine raccapricciante senza colpe, senza motivazioni, senza una parvenza di giudizio.
Quadro di G. Milotti. Lascito Andrea Ossoinack, a cura delle Leghe fiumane.

In tempi successivi, quando il pozzo fu oggetto di prospezioni per quanto consentito dalla struttura e dalle difficoltà di discesa, si ebbe modo di verificare che la profondità era notevolmente diminuita. Non fu possibile procedere al recupero delle Vittime, diversamente da quanto era accaduto altrove, ma alla Foiba di Basovizza venne riconosciuto un ruolo di memento e di esercizio della “pietas” dovuta a tutti i Morti, dapprima con la stele tuttora visibile accanto al Sacrario (dove i congiunti dei Caduti possono apporre un ricordo personalizzato ed un segno di Fede), e nel 1992 con l’elevazione alla dignità di Monumento Nazionale, completato da un Centro di documentazione e dai ricordi lapidei posti in opera a cura delle Associazioni d’Arma.
Quella “pietas” è diventata oggetto di autorevoli riconoscimenti ai più alti livelli. Qui, basti ricordare la cerimonia del Ricordo tenutasi al Senato della Repubblica il 10 febbraio 2014, quando il Maestro Uto Ughi, figlio di Esuli dall’Istria, volle dedicare il suo concerto ai Martiri delle Foibe, caduti “senza conforto”.
Stele alla Foiba di Basovizza, notturno

Oggi, Basovizza si può definire a ragion veduta un luogo di culto in cui lo scorrere del tempo e la logica dell’oblio sono stati finalmente esorcizzati, affidando ad una testimonianza tangibile, nella sua austera sobrietà, la perpetuazione di un Ricordo che non costituisca un semplice atto formale ma consenta la maturazione di una consapevolezza storica dei valori umani, civili e patriottici per cui il popolo giuliano, istriano, fiumano e dalmata volle impegnarsi fino all’estremo sacrificio: esempio di Fede e nello stesso tempo, sprone alla Speranza».
                                            Carlo Cesare Montani, esule da Fiume. Trieste


Arrigo Ricotti, L’Arco roman de Fiume, acquerello su carta, cm 33 x 48, firmato e datato in basso a destra: “A. Ricotti, 1953”. Collezione Carlo Leopoldo Conighi, esule da Fiume. Udine


Qui sotto c’è un video (del 2017) di poco più di 3 minuti (con fotografie e musica) prodotto dai giovani della classe III Media “Giovanni Cena” di Latina, sulla loro visita alla Foiba di Basovizza, accompagnati dai rispettivi insegnanti.

Poesia di Arrigo Ricotti

Dopo l’intervento di Carlo Cesare Montani sul tema del Giorno del Ricordo 2017, vorrei proporre al lettore una serie di versi in rima, composta nel 1948.
La seguente poesia è di Arrigo Ricotti, artista di Fiume, che la scrisse in esilio proprio nel 1948. Arrigo Ricotti si fece notare sin dal 1897 nel Circolo letterario di Via Sant’Anna di Fiume.
Questo testo contiene un cenno al Trattato di pace di Parigi del 1947, “infame de condana” e scritto in dialetto, senza doppia consonante! È interessante nella composizione l’uso del dialetto fiumano in mescolanza con la lingua italiana. 
Si riproduce il testo dall’originale dattiloscritto, con correzioni a penna rossa, firmato dall’autore con lo pseudonimo di “Argo”,  ma con l’aggiunta a penna dell’architetto Carlo Conighi riguardo all’autore vero: “Arrigo Ricotti”. Il componimento fa parte della Collezione di Carlo Leopoldo Conighi, esule da Fiume; ora in: Coll. Privata Udine.

Nostalgia

Quando mi penso a ti, Fiume diletta
sento una streta al cor, sento un rimpianto
per tempi che ti, ti eri la “Vedetta”
d’Italia e ‘l suo baluardo sacrosanto.
Vedo mi allora le tue case in Riva
della Fiumara fino oltre Cantrida
vedo la Torre in Corso e come viva
sul nostro tricolor l’aquila fida
e vedo el Domo, el Colle de San Vito
le alture de Cosala e de Drenova
el Tempio dei Caduti, bianco e ardito
e Val Scurigna, con la Strada Nova.
Co penso che ‘sta bella cittadina
specciante le sue case sul Carnaro
oggi, de giorno in giorno, più declina
per un destino barbaro ed amaro.
Co penso che le larghe sue contrade
e che le Calli della Cittavecia
al nostro bel parlar solo abituade
a un altro parlottar le presta orecia.
Co penso che al completo i cittadini
de fronte al invasor i ze migradi
e che, nel stesso posto, contadini
in massa dai Balcani i xe caladi.
Co penso che anche ti Fiume italiana
oggi ti ze cussì sacrificada
da un tratato infame de condana…
l’anima mia se sente rivoltada.
Ma el giorno venirà che tutti i
torti portadi alla città sempre italiana
contro el opressor sarà ritorti
in date, che speremo no lontane.
La paze gaveremo sul Carnaro
che dal Monte Maggior al confine
da Dante già segnà, contro el straniero
che tien in schiavitù Terre latine.
Per l’isole che l’Adria ne incanala
per Pola, per Parenzo, Fiume e Zara
tutte città de origine romana
allora cessarà la sorte amara.
Quel giorno vederemo i veci altari
che avemo abbandonà col cor in pianto:
e ritornadi ai nostri posti cari
innegerà all’Italia il nostro canto.

Novembre 1948
                                   Argo

                        (Arrigo Ricotti)

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Cartoline della Collezione Carlo Leopoldo Conighi, esule da Fiume. Udine. 


Monumento alla Foiba di Basovizza, notturno
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Riferimenti bibliografici nel web
Conferenza tenuta a Udine il 16 settembre 1955, col titolo: “Entrata di D’Annunzio a Fiume”. Relatore fu l’architetto Carlo Leopoldo Conighi (Trieste 04.07.1884-Udine 05.01.1972), legionario fiumano e, al tempo, presidente della Lega Fiumana, aderente all’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia – ANVGD, Comitato provinciale di Udine. Rielaborazione a cura di Elio Varutti, Udine 10 febbraio 2014, per la conferenza di Martignacco, provincia di Udine, 15 marzo 2014, sul tema di D’Annunzio.

1 commento:

  1. La poesia di Arrigo Ricotti è scritta con il cuore in mano e con il pensiero costante delle nostre terre perdute ma sempre ritrovate nei nostri pensieri. La leggeremo il prossimo 10 febbraio GIORNO DEL RICORDO. Grazie
    Laura Brussi Montani Esule da Pola e Carlo Cesare Montani Esule da Fiume

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