Graziella Dainese ha voluto ripercorrere a Udine le strade fatte dalla
sua mamma e dai nonni dopo l’esodo da Parenzo. Il 20 ottobre 1948 essi passano
da un Centro Raccolta Profughi di Trieste, così definito “Displaced Persons
Assembly Centre”. Dato che non esisteva ancora la definizione internazionale di
“rifugiato”, la traduzione più efficace potrebbe essere: “Centro per Persone
Senza Patria”.
Graziella Dainese sotto la lapide che ricorda Il Centro Smistamento Profughi di Udine
Giova ricordare che il capoluogo giuliano apparteneva al
Territorio Libero di Trieste (1945-1954). Il 28 ottobre la Polizia di Frontiera
italiana vidima “per entrata” al valico ferroviario di Monfalcone il passaporto
provvisorio n 11.072 di Casarsa Elvira, la madre della signora Graziella
Dainese. Elvira è nata a Parenzo il 29 maggio 1928, figlia di Luigi e di
Giovanna Zucco (Collezione Graziella Dainese, Portogruaro). Sono diretti a Udine.
Dalla stazione ferroviaria, alla quale arrivavano da Trieste,
o da Monfalcone, i profughi giuliano dalmati si recavano al Centro Smistamento Profughi (CSP) di Via Pradamano.
Lapide posizionata dal Comune di Udine a 60 anni dal Diktat e dall'apertura del Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano 21
Durante il cammino-pellegrinaggio sui luoghi
dell’esodo familiare spiego alla signora Dainese che, come ho saputo dal signor
Leonardo Cesaratto, impiegato del CSP di Udine, certe volte per portare i profughi dalla
stazione al CSP c’erano delle camionette. I mezzi militari erano guidati dagli
stessi istriani esuli, che si erano fatti assumere dalla polizia a tale scopo. Si
percorre a piedi Viale Europa Unita, poi i profughi salivano sul cavalcavia che
porta direttamente in Via Pradamano al civico numero 21, sede del CSP, dal 1947
al 1960.
Ho mostrato alla professoressa Dainese i bar-osteria dove
andavano i profughi per una partita a briscola, tuttora esistenti: bar
Franzolini e bar Fusâr. Ho mostrato il tabacchino dove si
compravano le sigarette. C’era pure una merceria, come mi ha riferito Giulia
Marioni, dove le donne esuli portavano pizzi, lenzuola e, persino qualche
monile d’oro, cercando di scambiare quelle cose con del denaro.
Poi abbiamo visto il palazzo del CSP, oggi è una scuola media
di primo grado. Dal
Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano transitano, dal 1947 al 1960,
oltre cento mila “senza patria”, come li chiamano gli anglo-americani, che
all’inizio dirigono le operazioni.
A ragione si può dire, allora, che Udine sia
stata la Capitale dell’esodo degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. Essi
vengono smistati nei 109 CRP sparsi per l’Italia, soprattutto nel centro nord. La
visita è finita così. Ho mostrato dove le profughe sciorinavano i panni al sole
dopo il bucato, come mi ha raccontato il signor Remo Leonarduzzi, custode del
CSP.
Carta d’identità trilingue (croato / sloveno /
italiano)di Franco Leo Dainese, del Comune di Parenzo, 13 maggio 1946
Udine capitale
dell’esodo degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia
Quest’anno ricorre il 70° anniversario del Trattato di pace di Parigi, firmato il 10 febbraio 1947. Da quel fatto l’Italia sconfitta perde
l’Istria, Fiume e Zara, assieme ai territori coloniali. Dalla fine della
seconda guerra mondiale la città di Udine diviene luogo di accoglienza di
migliaia di profughi giuliano dalmati. Per i primi profughi arrivati a Udine,
nel 1945, vengono preparati circa duemila pasti al giorno alla mensa pubblica.
Udine, Villaggio Metallico, La "Baraca ciesa" 1946-1958...Fotografia da Facebook
Dal 9 maggio 1945 al 1946, è allestito un primo Centro di
Raccolta Profughi (CRP) presso la vecchia scuola succursale della “Dante
Alighieri” in Via Gorizia, più precisamente in Via Monte Sei Busi, nelle
vicinanze di un vecchio camposanto. La struttura è al comando del tenente
Previato: pochi spazi in stanze diroccate e riattate alla meglio, oltre a
qualche tenda.
Nelle vicinanze di Via Gorizia c’è un acquartieramento di
truppe inglesi: una quarantina di prefabbricati metallici, tipo bidonville, con
torri di guardia. Quando gli inglesi lasciano Udine, nel 1946-1947, quegli
spazi, divenuti di proprietà dell’esercito italiano (caserma Spaccamela), dopo
regolare richiesta, sono occupati dagli istriani e da altri sfollati. È il Villaggio Metallico. Oggi lì ci sono le
roulotte degli zingari. Quando il CRP è pieno, allora si mandano i profughi a
dormire in altri posti, come all’asilo notturno; così accade il 23 ottobre 1946
a Franco Leo Dainese, da Parenzo, autorizzato a pernottarvi per cinque giorni,
come risulta dal documento custodito dalla figlia Graziella Dainese, di
Portogruaro.
Nel 1947 è ricordata un’altra bidonville per i profughi
istriani nella frazione di S. Gottardo, nella periferia est di Udine, dove
sorge poi un Villaggio Giuliano. In base all’Archivio del Comune di Udine nel
1950 ebbe inizio la costruzione delle case del primo Villaggio Giuliano in Via Cormòr Alto, Via Casarsa, inaugurato nel 1952. Altre case per loro sorgono a
Sant’Osvaldo e in Via Fruch.
Buono pasto al Posto di ristoro della Assistenza Post-bellica di Udine per il profugo istriano Franco Dainese, del 23 ottobre 1946
Esodo da Parenzo di
Franco Dainese, 1946
Mio papà – dice Graziella Dainese – ricorda che i tedeschi,
nel 1943, dopo el ribalton chiesero
ai giovani riuniti in piazza, a Torre di Parenzo, se volessero stare con la Landschutz (militari di difesa territoriale) o con i partigiani.
I giovani istriani si divisero un po’ di qua e un po’ di là della piazza.
Quelli schierati con i partigiani li hanno ammazzati tutti. Mio papà si è
salvato perché aveva scelto la Landschutz, ma cosa vuoi capire a 17-18 anni?
Poi i tedeschi li portarono in treno verso l’Austria, ma a Tarvisio, con altri
compagni di viaggio, papà riuscì a scappare, per tornare a piedi e con mezzi
vari fino a Parenzo, per restare lì fino al 1946.
Certe volte l’esodo giuliano dalmata nasce dalla confusione,
oltre che dalla paura della violenza dei titini, che agiscono per rivalsa
contro gli italiani, viste le angherie sofferte sotto il fascismo e per la
pulizia etnica. El ribalton, prima di
tutto, è l’elemento disorientante. Tanti esuli chiamano così la caduta di
Mussolini del 25 luglio 1943 ed il conseguente armistizio di Badoglio con gli
alleati, comunicato il successivo 8 settembre. Ciò causò l’invasione tedesca
dell’Italia, anche se già vari reparti nazisti stazionavano nella Penisola. Un
altro ribalton capita quando i riva i titini e i vol farla da paroni.
Il caos è totale. In Istria, dopo i primi casi di uccisioni
nelle foibe del mese di settembre 1943 – i nomi degli ammazzati sono pubblicati
su «Il Piccolo» – arrivano i tedeschi, che dagli istriani sono visti come
dei “liberatori”, in quanto fanno tornare “in bosco” i partigiani comunisti e
poi fanno da scorta ai pompieri del maresciallo Arnaldo Harzarich di Pola, che
inizia a riesumare le salme degli italiani infoibati.
Mensa al Centro Smistamento Profughi di Udine, anni 1947-1950. Fotografia del Gazzettino
Verso la fine del conflitto, i
tedeschi in fuga, usano per retroguardia reparti di cetnici (jugoslavi
monarchici) e più a nord, a Gorizia e Udine, persino gruppi di cosacchi
(alleati di Hitler). La gente si muove tra spie, voltagabbana, sparizioni,
furti, bombardamenti, saccheggi, militari di ogni sorta, campi di
concentramento nazista e partigiani titini assetati di vendetta contro i talijanski.
Franco Leo Dainese nasce a San Michele al Tagliamento, in provincia di Venezia, nel 1924 e muore a Gorizia nel
1987. La sua famiglia si era trasferita a Parenzo per lavoro, continua così la
testimonianza della professoressa Graziella Dainese, residente a Portogruaro,
in provincia di Venezia.
Finita la guerra, i partigiani
titini ricevono dagli inglesi decine di migliaia di militari jugoslavi alleati
dei nazisti, disarmati dai vincitori. Iniziano, allora, il repulisti di
domobranci (militari sloveni e croati collaborazionisti dei nazisti), belagardisti
(miliziani sloveni anticomunisti) e ustascia (filo-fascisti croati, antiserbi).
Vengono passati per le armi, con i loro familiari, e i loro corpi finiscono
nelle foibe, nei pozzi minerari, nelle cave di sabbia o nei trinceroni aperti
dalle squadre della Organizzazione TODT, nel penoso tentativo nazista di
fermare i carri armati alleati.
Anche il dopoguerra non è
semplice da affrontare. A Parenzo, come in altre parti dell’Istria, nasce la “Slavensko
Talijanska Antifašistička Unija”, ossia l’Unione Antifascista Italo-Slava, dove
gli italiani, con sentimenti di sinistra, sono messi lì a fare da “copertina”,
perché l’obiettivo di Tito è di “slavizzare” tutto. Quelli che capiscono
l’andazzo se la filano alla svelta.
Tessera dell'Unione Antifascista Italo-slava, Collezione familiare privata, Venezia
Com’è allora l’esodo da Parenzo
di Franco Dainese, nel 1946? Franco Leo
Dainese si fa rilasciare una carta d’identità trilingue (croato / sloveno /
italiano) dal Comune di Parenzo il 13 maggio 1946. Il documento è curioso,
perché reca la marca da bollo verde da 10 centesimi, regolarmente timbrata in
croato, però con l’effigie del re d’Italia, Vittorio Emanuele III, pur con
l’annullo slavo di Rijeka, ossia
Fiume, per “L. 100” – Lire italiane!
Poi egli è esule a Loreo, in
provincia di Rovigo, dal 1946, presso alcune sue zie. Il suo itinerario
dell’esodo prevede un passaggio per Udine. Il 28 ottobre 1946, infatti, è accolto all’asilo notturno di
Udine, in Vicolo Porta Nuova, per cinque notti, secondo la tessera
rilasciatagli del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara, sezione di
Udine.
Per il cibo può godere di un buono pasto “per 4 giorni” del
28 ottobre 1946, presso il Posto di Ristoro della Post-Bellica, dipendenza del
Ministero dell’Interno, secondo il biglietto rilasciatogli dal Comitato Alta
Italia per la Venezia Giulia e Zara, Sezione di Udine. Il buono pasto è scritto
sul modello prestampato per la Commissione Pontificia d’Assistenza, segno che
fino a poco prima si occupava dell’accoglienza la struttura ecclesiastica,
piuttosto che quella statale, andata in dissolvimento.
Come gli oltre centomila esuli giuliano dalmati passati per
Udine, anche Franco Dainese dalla stazione ferroviaria passa al Centro Raccolta
Profughi (CRP). Nel 1946 il punto di accoglienza è ancora situato nella zona di
Via Gorizia, come diceva la gente. In realtà è in Via Monte Sei Busi, dove oggi
ci sono le roulotte dei rom. Il CRP è presso
la vecchia scuola succursale delle “Dante Alighieri” di via Gorizia, nelle
vicinanze di un vecchio camposanto, nella zona a nordest della città. La
struttura era al comando del tenente Previato. Erano pochi spazi in stanze
diroccate e riattate alla meglio, oltre a qualche tenda.
Dopo la breve permanenza a Udine
Franco Dainese è destinato al Centro Raccolta Profughi di Lucca, dove sta per vari
mesi. L’amore sgorga nel Campo Profughi toscano: Evira Casarsa e Franco Dainese,
che già si conoscevano dalla adolescenza a Parenzo, si sposano il 12 settembre
1949, nella parrocchia di San Frediano a Lucca.
La professoressa Graziella
Dainese mi mostra molti documenti, con i quali ha potuto ricostruire pezzo dopo
pezzo la storia (mai ascoltata direttamente) dell’esodo dei suoi cari. Dopo le
nozze dei genitori, la nuova famiglia si trasferisce dai parenti di lui, a
Loreo. È un posto troppo vicino, al Po. La famigliola, il 2 luglio 1951, è
rallegrata dalla nascita di una bimba, appunto: Graziella Dainese. Il 14
novembre 1951 la sconvolgente alluvione del Po li coglie di sorpresa e si porta
via tutte le masserizie ed il semplice arredo della famiglia di lei, partite dall’Istria
e recuperate dal Magazzino 18 di Trieste, ricevute in regalo dai giovani sposi.
Madre e figlia alluvionate
vengono accolte, dal 17 novembre 1951 al 28 febbraio 1952, come fu per altri 32
bimbi del Polesine allagato presso l’istituto per l’Infanzia “Santa Maria della
Pietà di Venezia”, come risulta dal registro “Legittimi dagli anni 1945-1986”
dello stesso ente.
A questo punto le tappe e gli
spostamenti dell’esodo si accrescono in eccesso. Nel 1953 c’è il Centro
Raccolta Profughi di Vicenza. Nel 1955-1956 la famiglia è a Porto Tolle e ad
Adria, dove si becca la seconda alluvione: quella del Canal Bianco, derivazione
dell’Adige. Nel 1957 vanno a Catanzaro, poi a Bologna, per il lavoro del babbo
negli zuccherifici. Altre tappe, nel 1958 e nei decenni successivi, sono, tra
le altre, Cervignano del Friuli, San Donà di Piave, Gorizia e Portogruaro.
Libretto dei ricordi dell'esodo dei familiari di Graziella Dainese. Spiccano le dediche e le firme di Bojan Horvat, del Museo del Territorio Parentino, Parenzo e di Graziano Misizza, presidente della Comunità Nazionale Italiana di Parenzo.
---
Fonti orali
Ringrazio e ricordo le seguenti persone per la disponibilità
riservata a testimoniare e a mostrare fotografie, manoscritti e documenti di famiglia. Le
interviste sono state raccolte da Elio Varutti a Udine, con taccuino, penna e
macchina fotografica nelle date citate.
- Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 – Udine 2011), impiegato del
CSP di Udine, int. del 26 gennaio e dell'11 febbraio 2004.
- Graziella Dainese (Rovigo 1951) residente a Portogruaro,
provincia di Venezia, int. del 4 gennaio 2017.
- Remo Leonarduzzi (Ragogna, provincia di Udine 1926-2005), custode
del CSP di Udine, int. del 16 febbraio 2004.
- Giulia Marioni (Udine 1952), nata e vissuta di fronte al CSP
di Udine ed ivi curata nell’infermeria, dopo il morso del cane, all’età di
quattro anni, int. dell’11 dicembre 2014.
Collezioni private
- Collezione Graziella Dainese, Portogruaro.
- Collezione familiare privata, Venezia.
Riferimenti bibliografici
e nel web
- Marco Corazza, Portogruaro. Se n'era andata nel 1948 da Parenzo, ora il Tribunale la documenta, «Il Gazzettino», 22 Settembre 2015
- Vito Digiorgio, Un pezzo della mia terra. Portogruaro: La storia di Elvira Casarsa, profuga
italiana, «http://www.portogruaro.net», 28-08-2014
- Remo Leonarduzzi, La
ex-GIL di Via Pradamano, «Baldasseria 78», 1978, pp.6-7.
- Una versione del presente articolo è stata pubblicata su
infofvg.it il 9 gennaio 2017 col seguente titolo: Esodo da Parenzo di Franco Dainese, 1946.
- Elio Varutti, Elvira Casarsa da Parenzo, l’esodo del silenzio 1948, 2015.
- Per un approfondimento sui massacri di militi sloveni e croati perpetrati dai partigiani titini dal 1941 al 1952 si può vedere il seguente complesso libro, anche se secondo alcuni storici è di non facile utilizzazione in sede accademica:
- Per un approfondimento sui massacri di militi sloveni e croati perpetrati dai partigiani titini dal 1941 al 1952 si può vedere il seguente complesso libro, anche se secondo alcuni storici è di non facile utilizzazione in sede accademica:
Franc Perme, Anton Zitnik, Franc Nucic, Janez Crnej, Zdenko
Zavadlav, Slovenjia 1941, 1948, 1952. Tudi mi smo umrli za domovino, (1.a
edizione: Lubiana, Grosuplje 1998, col titolo tradotto in italiano: I sepolcri tenuti nascosti e le loro vittime 1941-1948, di Franc Perme, Anton Zitnik, pp. 277),
Lubiana Grosuplje, Associazione per la Sistemazione dei Sepolcri Tenuti
Nascosti, 2000. Edizione italiana [considerata dagli AA. come la terza]:
Slovenija 1941, 1948, 1952. Anche noi siamo morti per la patria. “Tudi mi smo umrli
za domovino”. Raccolta, Milano, Lega Nazionale d’Istria Fiume Dalmazia,
Mirabili Lembi d’Italia, [2005, l’anno di stampa è dedotto, fra le pagine 380 e
381, nella didascalia delle fotografie a colori n. 22-23], pp. LXVI-792, euro
30.
---
Commenti del web
Sul presente articolo ho ricevuto vari commenti in posta
elettronica, nei social media e 35 condivisioni in Facebook (al 14 gennaio
2017).
Sergio Satti, esule da Pola a Udine, per anni vice presidente
del locale Comitato Provinciale dell’ANVGD, mi ha scritto: « Testimonianza che
a distanza di tanto tempo fa ricordare il nostro drammatico periodo storico
ricordato ancora da quei pochi profughi che sono ancora vivi, ma che vogliono
trasmettere ai figli e nipoti la loro storia e come si superano tutte le
difficoltà della vita con coraggio».
Da Trieste la signora Laura Brussi, esule da Pola e il signor
Carlo Cesare Montani, esule da Fiume, oltre ai graditi complimenti per il
lavoro di ricerca svolto, sono andati a scomodare niente meno che Dante Alighieri, nel loro apprezzabile e colto commento all’articolo: «Gentile
Professore, abbiamo apprezzato il Suo articolo relativo alle vicende della
famiglia Dainese: in effetti, la grande storia è spesso l’espressione di tante
microstorie, e questo è il caso. È sempre significativo apprendere quanto sia
stato “duro calle lo scendere ed il salir per l’altrui scale” attraverso lunghe
e stressanti peregrinazioni: in tutta sintesi, il prezzo della fede!».
Da Udine il signor Giorgo
Gorlato, esule da Dignano d’Istria, mi ha scritto le seguenti confortanti
parole: «Caro
prof. Elio Varutti, ti ringrazio molto per avermi dato notizia dell’interessante
articolo che racconta l’avventurosa vicenda dell’esodo da Parenzo della mamma e
dei nonni della professoressa Graziella Dainese. È questa una ulteriore
"perla" che si aggiunge al
lavoro che, caro prof. Varutti,
stai ormai da tempo portando avanti. Un lavoro davvero "prezioso" ed
impagabile che, pezzo dopo pezzo, contribuisce a ricostruire in modo oggettivo,
serio, privo di acredine ma basato su dati di fatto e testimonianze dal vivo
inconfutabili, la storia di una parte d’Italia perduta a causa di una guerra dissennata
ed il conseguente esodo degli italiani dell’Istria e Dalmazia.
Dalla memoria
storica e dal rispetto del suo passato si misura la civiltà di un popolo. Per
questo noi esuli (ormai rimasti in pochi) dobbiamo esserti oltremodo grati per
il tuo costante impegno volto alla ricerca della verità che hai trasmesso e che
trasmetti ai tuoi studenti ed a tante persone che manifestano l’esigenza di
"conoscere" la drammatica realtà di fatti accaduti in un tragico
passato che si è voluto per troppo tempo tenere nascosto o, addirittura, ignorare
o minimizzare. Ancora un grazie sincero
ed un abbraccio».
Da Cividale del Friuli il dottor Franco Fornasaro, nato a Trieste, con origini Piranesi, mi ha inviato questo gradito
messaggio: «Anche se in ritardo, dovuto
a problematiche di vario tipo, ringrazio il prof. Elio Varutti
per il suo articolo, che contribuisce a mantenere viva una memoria di
sofferenze ed ingiustizie che sono ormai o sconosciute, o ritenute un fenomeno
lontano, fastidioso e da cancellare. La Storia, però, al di là di ogni
revanscismo, pietismo o opportunismo, addita a chi la studia, il cammino della
conoscenza e dell’approfondimento che l’ha contraddistinta e…dalle nostre
parti, in particolare lungo l’Adriatico Orientale, c’è ancora una storiografia
da esaminare nel dettaglio e una messe di oralità da scoprire.
Al di là di tutto, però, un ricordo sentimentalmente partecipato,
e un rispetto storico verso chi ha subito innocentemente i drammatici eventi di
quel maledetto periodo! Da qualunque parte si trovasse!
Grazie prof. Varutti.
Di questi incisi escavatori c’è sempre più necessità…anche per i
tempi che corrono attualmente».
---
Servizio giornalistico, fotografico e di networking di Elio Varutti, se non altrimenti indicato.
Nessun commento:
Posta un commento