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martedì 5 settembre 2017

Cesare Conighi da Fiume ai lager di Dachau, Sachsenhausen e Polonia

Cesare Augusto Conighi è stato un ufficiale dell’Esercito Italiano. Nasce a Fiume, nel Golfo del Quarnaro, il 14 maggio 1895 da Carlo Alessandro e da Elisa Ambonetti. Muore a Roma il 10 dicembre 1957 col grado di tenente colonnello.
Il volontario dell’Esercito Italiano Cesare Conighi. Fiume d’Italia, 4 marzo 1920. Ph. Gino Cavalieri, Perugia. Collezione famiglia Conighi, Udine.

È l’ultimo di cinque fratelli Conighi: Maria Regina (Trieste 1881-Udine 1955), Carlo Leopoldo Antonio (Trieste 1884- Udine 1972), Silvia (Fiume 1888-1892) e Giorgio Alessandro (Fiume 1892-Trento 1977). Il padre, l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi, è impresario, costruttore e presidente della Camera di Commercio e Industria di Fiume.
Il suddito austro-ungarico Cesare, da ragazzo, assiste alle gesta dei fratelli e di altri giovani concittadini per l’italianità di Fiume. Il 30 novembre 1908 il fratello Carlo Leopoldo, detto Carlo Conighi Junior, è eletto nel consiglio del circolo “La Giovine Fiume”, legato alle idee di Giuseppe Mazzini. Secondo l’autorità austro-ungarica tale gruppo “irredentistico italiano”, di ispirazione mazziniana, ha “deciso e procurato l’arruolamento d’un corpo di volontari a Trieste, l’incorpamento [incorporamento] di questi al Corpo di volontari esistente in Italia, per favorire un’invasione armata delle cosiddette provincie italiane dell’Austria”. Così ha scritto, in un suo saggio a pag. 4, Antonio Luksich-Jamini.
Come ha accennato Giovanni Stelli a pag. 170 di un suo studio pure Cesare Conighi, nel 1908, è vicino all’associazionismo irredentista fiumano, nonostante la sua giovane età. Poi succede che il fratello Giorgio Conighi, assieme ad altri nove fiumani, viene processato per alto tradimento il 10 dicembre 1910, dalla Corte d’Assise di Graz; così ha riportato Enrico Burich, a pag. 15, di un suo articolo.
Dedica autografa di Cesare Conighi al fratello Carlo Leopoldo, sotto la firma del fotografo di Perugia Gino Cavalieri, 1920.  Collezione famiglia Conighi, Udine.

«È del febbraio 1911 la beffa dei finti bersaglieri – come ha ricordato Giovanni Stelli, a p. 173 di un suo articolo – a cui parteciparono, tra gli altri Giorgio Conighi e Giovanni Host: i “bersaglieri”, ossia un gruppo di giovani fiumani travestiti da bersaglieri, entrarono nel teatro comunale per recarsi al ballo della Beneficenza italiana e poi durante le notte “la fanfara scorrazzò per le vie della città suonando gli inni patriottici”, mentre la polizia stupita e interdetta non intervenne».
La sorella Maria Regina Conighi si impegna in quei frangenti, con le donne filo-italiane della città, a cucire coccarde e bandiere tricolori, oltre ad organizzare l’assistenza ai perseguitati politici della gendarmeria austro-ungarica.
Cesare Conighi a Roma il 15 maggio 1913. Col logo del fotografo che incolla l’immagine su cartoncino in stile Liberty. Collezione famiglia Conighi, Udine.

Con la Grande Guerra il fratello maggiore Carlo Leopoldo Conighi è richiamato quale artigliere telefonista in divisa austriaca, di stanza tra Aurisina, Sistiana e Grado, come ha riportato Varutti nell'articolo "Sembra la pace in avvicinamento...", nel 1997.
Cesare e il fratello Giorgio Conighi invece scappano da Fiume, passano il confine per arruolarsi nel Regio Esercito Italiano. Cesare è a Roma nel 1913-1914, come testimoniano alcuni disegni ad acquerello nella collezione familiare e una fotografia datata. 
Di Giorgio Conighi si legge una notizia sul «Giornale di Udine» del 14 novembre 1915. La testata friulana scrive che il «soldato volontario negli alpini Giorgio Conighi, nato a Fiume (Ungheria)» riceve assieme ad altri militi un encomio solenne. Deve essere l’ultima volta che appare pubblicamente il nome e cognome di un irredentista a chiare lettere.
Per sfuggire alla forca austriaca, che li persegue per alto tradimento e, su indicazione dell’autorità militare italiana, i fratelli Conighi cambiano il cognome, come fanno molti altri irredentisti trentini, triestini, goriziani, istriani, fiumani e dalmati inquadrati nelle truppe italiane. Cesare adotta lo pseudonimo di “Cesare Nelli”, come riportano alcuni giornali di Trieste e di Perugia. Si veda in merito «Il Piccolo della Sera», del 25 febbraio 1933, p.1 e «L’Unione liberale» di Perugia, 4 settembre 1922, p. 3. Mentre in determinate carte familiari si è rintracciato anche l’alias di “Carlo Nelli”. Il fratello Giorgio Conighi tramuta il suo nome in Giorgio “Dilenardo”.
Cesare Augusto Conighi, Roma, acquerello su carta firmato e datato in alto a destra: 1914, cm 24 x 34. 
Collezione famiglia Conighi, Udine.

La gendarmeria austo-ungarica si mobilita: «nell’ira furibonda che il giovane Cesare Conighi avesse potuto osare l’inosabile – come ha scritto E.R.P. – lo condannarono a morte in contumacia». La Commissione austro-ungarica che condannò a morte Cesare Battisti, ordinò che egli (Cesare Conighi) fosse impiccato in effigie vicino al grande martire del Castello del Buon Consiglio di Trento. Poi Cesare Conighi fa parte dell’Aviazione militare italiana e, nel 1918, è legionario fiumano come i fratelli Carlo Junior e Giorgio e molti giovani fiumani, in collegamento all’impresa dannunziana.
Maria Regina Conighi, con varie altre donne di Fiume, si impegna in difesa degli italiani nel 1915-1918. Ecco le parole di un necrologio per lei (vedi:  C.L. Conighi, Lettera del 16 aprile 1955, dattil. Collezione famiglia Conighi, Udine); è stato stilato nel 1955 dal fratello architetto Carlo Conighi Junior: «Durante il primo conflitto mondiale (Maria Regina) rimasta a Fiume sola con la diletta Mamma… aiutò in tutti i modi i prigionieri italiani e i giovani fiumani (parola cancellata: disertori) nascondendoli perfino nella propria casa, per sottrarli alla prigionia».
Ritratto della famiglia Conighi di Fiume verso il 1899, Stabilimento fotografico Carposio, Via Ciotta, Fiume. L’ingegnere Carlo Alessandro Conighi è in piedi, la moglie Elisa Ambonetti, seduta, la figlia Maria Regina, in piedi, Carlo Leopoldo, col farfallino, seduto sullo sgabello, con Cesare e Giorgio, in piedi davanti al babbo. Collezione famiglia Conighi, Udine.

Terminata la guerra, la stessa fonte ci rivela che: «Tra il 1918 e il 1924 Maria Regina Conighi opera nella Giovane Fiume e, poi, nella Giovane Italia, aiutando e soccorrendo i fiumani e gli altri legionari dannunziani». Si ricorda che la Giovane Fiume sorge nel 1905, come ha scritto Giovanni Stelli.
I tre fratelli Conighi (Carlo Junior, Giorgio e Cesare) sono attivamente impegnati come legionari fiumani di Gabriele d’Annunzio dal 1918-1919 al 1924, quando la città quarnerina è annessa al Regno d’Italia. «Gabriele d’Annunzio – ha scritto E.R.P. in riferimento a Cesare Conighi – per il suo passato d’italiano e patriota, volle appuntare sul suo petto la stella d’oro dei valorosi, su cui incise col proprio pugnale la data e il nome».
Carlo Leopoldo e Giorgio Alessandro, infatti, sono ferventi soci della Giovane Italia, di cui Carlo Leopoldo è cassiere, come si evince dai registri contabili del circolo (C.L. Conighi, Giovane Italia, Sezione di Fiume, Entrate: Largizioni, 1919-1922, ms, Collezione famiglia Conighi, Udine. C.L. Conighi, Giovane Italia, Sezione di Fiume, Esiti: Diversi, 1919-1922, ms, Collezione famiglia Conighi, Udine). 
Nel registro delle spese della Sezione di Fiume della Giovane Italia, tenuto dal fratello Carlo Leopoldo Conighi, si legge la seguente annotazione contabile del 22 marzo 1919: «Consegnate al tenente Nelli per la sezione di Perugia a titolo di prestito L. 400 e cor. 2,90. (totale) 580». Con l’abbreviazione “cor” si intende corone, ossia la svalutata moneta austriaca, mentre il “tenente Nelli” è chiaramente: Cesare Conighi, alias Cesare o Carlo Nelli, come già scritto.

Cesare Conighi, primo a sinistra, con amici a Roma il 29 giugno 1919. Collezione famiglia Conighi, Udine.

Cesare Conighi il 2 settembre 1922 sposa a Perugia la marchesina Lodovica Torelli Massini, che gli dà due figlie: Maria Alessandra (Fiume 1924) e Maria Elisabetta (Roma 1935). «Testimoni della sposa – si legge sul giornale di Perugia, già citato, del 1922 – furono il conte Napoleone Faina e il dottor conte Solazzi; dello sposo il conte onorevole Luciano Valentini e il conte Tiberio Rossi Scotti rappresentato dal maggiore Martorelli». Il quotidiano spiega inoltre che molti perugini chiamano lo sposo ancora con l’appellativo di Cesare Nelli, il cognome scambiato per sfuggire alla vendetta austriaca.
La signora Margherita Abbozzo, dopo aver letto l'articolo presente, il 4 ottobre 2021, ci ha scritto: "Vichina Torelli doveva essere una ragazza in gamba. Per esempio guidava un'automobile nel 1918! Con le sue sorelle e con mia nonna, Egle Mondino Abbozzo, facevano parte di un gruppo di giovani che in quegli anni frequentavano il famoso avvocato e docente Francesco Innamorati. Nonna Egle Mondino, piemontese, era arrivata a Perugia nel 1915 per il lavoro del padre, Regio Conservatore delle Ipoteche. Giovane brillante, di idee progressiste, suffragetta, fu la prima donna a laurearsi in Giurisprudenza nell'ateneo perugino nel 1919".
Nel giugno 1926 Cesare Conighi è impegnato in Libia col reggimento Piemonte Reale Cavalleria. Tra le altre si trova a Bengasi e a Tobruk. In base alla stampa di Fiume (Vedi: “Le nozze d’oro dell’ingegnere Carlo Conighi”, «La Vedetta d’Italia», Fiume, 4 settembre 1930 – Anno VIII, p. 2), nel 1930, si trova di stanza a Udine ed è citato quale “tenente di cavalleria combattente nel Regio esercito”. Secondo il carteggio di famiglia, nel 1933, Cesare Conighi è a Roma dove, due anni più tardi, gli nasce la secondogenita Maria Elisabetta.
Cesare a Tobruk, primo a sinistra, giugno 1926. Si conoscono la signora Pettazzi, col n.1 e la figlia Marinella (Maria Alessandra), col n. 2. Collezione famiglia Conighi, Udine.

«Nominato ufficiale effettivo per merito di guerra – scrive ancora E.R.P. – nel 1939-1940 capitano di Piemonte Reale Cavalleria, diviene ufficiale d’ordinanza del generale Alfredo Guzzoni nella campagna di Albania». Qui, per una caduta da cavallo, riporta gravi ferite, come la lesione della spina dorsale. 
Nel 1940 è con la 4a Armata agli ordini del Principe di Piemonte. Nel 1941, nonostante le condizioni critiche di salute, è inviato in Russia, facendo parte dell’Armata italiana in Russia (ARMIR). Riesce a rientrare in Italia e, nel 1943, è in Sicilia, sempre ai comandi del generale Guzzoni, con la 6a  Armata.
Nel 1943, dopo l'armistizio italiano con gli alleato dell'8 settembre, mentre è in servizio a Montebello di Vicenza, viene imprigionato dai tedeschi e, siccome si rifiuta di collaborare con loro, viene deportato nei Campi di concentramento nazisti di Norimberga e di Berlino, secondo E.R.P. Si precisa, tuttavia, che a Norimberga non si trovano campi di concentramento, però la città è a pochi chilometri di distanza da Dachau. Altra precisazione: a 40 chilometri da Berlino si trova il Campo di concentramento di SachsenhausenPare molto probabile, quindi, che Cesare Conighi sia stato rinchiuso a Dachau e a Sachsenhausen.
Lettera autografa di Cesare Conighi al padre, scritta da Roma il 2 agosto 1933 (particolare). Collezione famiglia Conighi, Udine.

Liberato dai Russi, a guerra conclusa, è subito mantenuto in cattività. Questa volta non sono i nazisti, ma i sovietici a imprigionarlo.
Dopo un trasferimento a marce forzate nella neve e nel freddo per oltre cento chilometri, Cesare Conighi viene detenuto nuovamente in un Campo di concentramento sovietico in Polonia per altri cinque mesi.
Rientra in Italia solo nel mese di ottobre 1945, stroncato nel fisico. Pesa circa 35 chilogrammi. Nel 1946 la sua famiglia di Fiume deve affrontare l’esodo giuliano dalmata, poiché scacciata dai titini della Jugoslavia.
Cesare, esule nella sua stessa patria tanto agognata, si stabilisce a Roma, dedicandosi agli aspetti assistenziali dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) e muovendosi con due bastoni, visti i problemi di deambulazione, fino al dicembre 1955, quando lo coglie la morte.
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Fiume, 4 settembre 1940. Nozze di diamante di Carlo Alessandro Conighi, primo a sinistra seduto e di Elisa Ambonetti, seduta di fonte a lui. Cesare, in divisa, è in piedi dietro al babbo. Poi si conoscono: una familiare; Amalia, moglie di Carlo Leopoldo, che le sta in piedi accanto. A seguire: Helga e Ferruccio, seduti a capotavola. In mezzo a loro il bimbo Elio, figlio di Giorgio. Dietro, in piedi: Enrico. Poi c’è Maria Regina tra due signori non noti e Giorgio Conighi accanto alla mamma Elisa.  
Collezione famiglia Conighi, Udine.

Fonti e riferimenti
- Le fotografie, i disegni e i documenti riprodotti nel presente articolo sono della: Collezione famiglia Conighi, Udine.
- C.L. Conighi, Giovane Italia, Sezione di Fiume, Entrate: Largizioni, 1919-1922, ms, Collezione famiglia Conighi, Udine.
- C.L. Conighi, Giovane Italia, Sezione di Fiume, Esiti: Diversi, 1919-1922, ms, Collezione famiglia Conighi, Udine.
Commiato di lettera autografa di Cesare al fratello e ai nipoti per la morte della cognata Amalia Rassmann, Roma, gennaio 1954. Collezione famiglia Conighi, Udine.

Bibliografia
- Enrico Burich, “Momenti della polemica per Fiume prima della guerra 1915/18”, «Fiume. Rivista di studi fiumani», IX, 1-2, gennaio – giugno 1961, p. 15.
- E.R.P. (Elia Rossi Passavanti), “T. Colonnello Cesare Conighi”, «Notiziario della Cavalleria italiana,  Associazione Nazionale», III, n. 12, Roma, dicembre 1957, pag. 4.
- Antonio Luksich-Jamini, “Appunti per una storia di Fiume dal 1896 al 1914”, «Fiume. Rivista di studi fiumani», XIV, 1-2-3-4, gennaio – dicembre 1968, p. 91.
- “L’opera e la fede di Carlo Conighi”, «Il Piccolo della Sera», Trieste 25 febbraio 1933 – Anno XI, p. 1. 
- “Nozze”, «L’Unione liberale», Perugia, 4 settembre 1922, p. 3.
- “Le nozze d’oro dell’ingegnere Carlo Conighi”, «La Vedetta d’Italia», Fiume, 4 settembre 1930 – Anno VIII, p. 2.
- E. Varutti, “Sembra la pace in avvicinamento… Diario dell’artigliere austriaco Carlo Conighi e le cartoline postali del bancario Dante Malusa, internato a Tapiosüly da Fiume nel 1915-1918”, in E. Polo et alii., Un doul a mi strinzeva il cour. 1917: questo terribile mistero, San Daniele del Friuli (UD), Coordinamento Circoli Culturali della Carnia, 1997, pp. 59-76.
- E. Varutti, “Casi familiari di radicamento sociale del Risorgimento nel Friuli e nella Venezia Giulia”, in S. Delureanu, L. Piccardo, L. Bisicchia... et al., I moti friulani del 1864. Un episodio del risorgimento europeo. Atti del convegno, San Daniele del Friuli – Meduno 29 – 31 ottobre 2004, «Quaderni guarneriani», San Daniele del Friuli, 2005, pp. 131-156.
- E. Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
Tessera dell’ANVGD del 1956, un anno prima della morte di Cesare Conighi. Collezione famiglia Conighi, Udine.

Sitologia
- Giovanni Stelli, “L’irredentismo a Fiume”, in L’irredentismo armato. Gli irredentismi davanti alla guerra, a cura di F. Todero, «Quaderni di Qualestoria», n. 33, Trieste, IRMSL, 2015, pp. 145-179.
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Testi e ricerche di Elio Varutti. Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti.

martedì 8 agosto 2017

Viaggio a Breslavia

Nei documenti storici antichi la città è chiamata: Wratislavia. Era così nel 1241, quando è distrutta dall’orda tartara. Certi italiani la confondono con la capitale slovacca: Bratislava o Presburgo. Il Municipio di Breslavia è al centro della piazza del Mercato. È opera di stile gotico del 1242. Sorge come Casa dei Mercanti, poi tra il Trecento e il Cinquecento è ingrandito e trasformato secondo i gusti del tempo fino ad essere come ci appare oggi.
Notturno in piazza del Mercato a Breslavia. 
Fotografia di Elio Varutti

Il toponimo italiano di Breslavia si riconduce al tedesco Breslau. In polacco è Wrocław. Questo è sempre stato un incrocio di culture germanica e slava, inoltre i traffici mercantili del passato passavano di qui per portare merci dai territori degli Asburgo fino al Baltico e viceversa. È crocevia di varie religioni: cattolici, ebrei e protestanti.
La città appartiene al Regno di Polonia nel X secolo, ma poi è sotto l’influenza del commercio tedesco, appartenendo al Regno di Boemia (1335). Fu poi degli Asburgo (1526), poi prussiana (1741),  tedesca (1871) e nazista (1932). Dopo il 1945 ritorna polacca con forti immigrazioni di polacchi di Leopoli (o L’vov, in Ucraina), espulsi dai Russi.
La Casa dei grifi e delle aquile, XVI secolo a Breslavia

Col gruppo di Boscolo Tours - aprile 2017 - e la guida polacca osserviamo le case più pittoresche di piazza del Mercato. Si nota la Casa dei Grifi, costruita da ricchi pellettieri nel XVI secolo. 
Altre due case curiose sono nell’angolo nord ovest della piazza. Sono dette popolarmente di Hansel e Gretel, poiché quasi fiabesche, in mezzo ai caseggiati delle potenti famiglie di mercanti. Le due casettine, una rinascimentale, l’altra barocca, pare che fossero le case dei chierici. Curiosamente si è trovato, al n. 3, anche uno stemma simile a quello dei cramars della Carnia, mercanti ambulanti attivi fino all’Età Moderna.
Breslavia - Portale con lo stemma simile a quello dei cramars del Friuli

La Biblioteca Nazionale ha sede in un elegante edificio barocco del 1675. La cattedrale di S. Vincenzo è del XIII secolo. È tra le più ampie e vecchie di Breslavia, purtroppo l’interno è spoglio. Lì vicino c’è la chiesa della S. Croce, un monumento esemplare della architettura gotica polacca. Costruita tra il 1288 e il 1350, è dotata di due torri laterali. Solo una è abbellita da un appuntitissima guglia in rame. L’altra è mozza. L’interno presenta due aule di culto sovrapposte.
Le case di Hansel e Gretel a Breslavia

La cattedrale di San Giovanni Battista presenta due torri appaiate che dominano la città. Ha una vita burrascosa. Eretta sulle spoglie di un edificio romanico del 1158 distrutto dall’invasione tartara, viene rimaneggiata in stile gotico tra il 1244 e il 1430. Durante la seconda guerra mondiale è danneggiata per il 70% dai bombardamenti. Viene ricostruita nel 1946-1951 con l’uso massiccio di mattoni. Ecco perché la facciata si presenta con una massa eccessiva di laterizi, senza transetto. Le due alte torri sono state rinforzate da crescenti contrafforti. L’interno è interessante con opere di italiani e di altri artisti.

La Biblioteca Nazionale

Breslavia - Notturno sul Monumento che ricorda i 22 mila caduti polacchi nella strage di Katin, perpetrata dai russi stalinisti nel 1940-1941, per eliminare ufficiali e intellettuali

Breslavia, città di ponti sul fiume Odra

Il vecchio municipio di Breslavia

Breslavia - Carri armati sovietici T 34 (innovativi e vincenti) davanti al cimitero dei caduti russi nel secondo conflitto mondiale


Sitologia


lunedì 7 agosto 2017

Il Palazzo del Centenario a Breslavia

Compreso dal 2006 tra i Patrimoni dell’Umanità secondo l’UNESCO, il Palazzo fu costruito tra il 1911 e il 1913 a Breslavia. L’architetto che lo progettò, Max Berg, si è ispirato direttamente al Pantheon di Roma. La cupola della costruzione ha un diametro interno di 65 metri. È alta 43 metri.
Il Palazzo del Centenario a Breslavia

È un posto simbolico della partecipazione della gente comune. Imperversavano gli ideali positivisti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, perciò l’alleanza interclassista spinge alla costruzione di questo edificio per il divertimento cittadino. Ha tutti i 4.310 posti a sedere uguali, quasi come un simulacro della piena democrazia. Sorge sulla sponda destra dell’Odra e fu inaugurato durante le celebrazioni del centenario della battaglia di Lipsia, una delle sconfitte più sonore di Napoleone Bonaparte.
Siamo arrivati qui in pullman col gruppo di Boscolo Tours, con una guida polacca che ci spiega in italiano le bellezze della sua terra e risponde gentilmente anche a molte domande di attualità.
La struttura, per il tempo di edificazione, è avveniristica. Eretta in mezzo ad un parco, tutta in cemento armato, ha una superficie di 3.200 metri quadrati. Le feste popolari si avvicendarono qui solo fino all’epoca della Repubblica di Weimar, dato che col nazismo fu sede di adunate politiche, gagliardetti e svastiche. Subì gravi danneggiamenti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La città si arrese ai Russi solo il 6 maggio 1945. Cacciati i numerosi tedeschi che l’abitavano, fu ripopolata coi polacchi espulsi dalla zona ucraina di Leopoli, annessa all’URRS.

Oggi il Palazzo del Centenario ospita concerti, eventi di carattere sportivo ed altre manifestazioni varie. Lì in zona si trovano alcuni edifici in stile funzionalista, quasi come quello del Palazzo della Regione, edificato negli anni Trenta, con Hitler al potere. 
In particolare si nota il “Pawilon Czterech Kopuł”, originale edificio delle quattro cupole dei primi del Novecento, opera dell’architetto Hans Poelzig. Già studio di produzione cinematografica, oggi ospita un museo di arte contemporanea.
L’area è arricchita da un propileo, che con le sue ordinate colonne concede al Palazzo del Centenario una ulteriore monumentalità. Non si può evitare un’alta guglia in acciaio di 96 metri, costruita nel 1948, ai tempi del comunismo polacco. È detta “Iglica”, che in polacco vuol dire: ago.

Nota plurilingue: Breslavia in polacco è: Wrocław. In slesiano: Wrocłow. In tedesco: Breslau e in ceco: Vratislav.
Il propileo con, al centro, la guglia del 1948 e, sullo sfondo, il Palazzo del Centenario. Fotografie di Elio Varutti

Architettura funzionalista a Breslavia

Una delle quattro cupole del Pawilon Czterech Kopuł

Notturno per il Palazzo della Regione, degli anni Trenta, in stile funzionalista tedesco

Tanti saluti dallo gnomo tipografo, alto come un gingerino. Breslavia è piena di queste buffe sculture, che ricordano quando gli universitari, ai tempi del comunismo, si davano appuntamento stile "flash-mob", vestiti da nani, come metodo di resistenza passiva alla dittatura 
Sitologia

E. Varutti, Viaggio a Breslavia, 2017.

domenica 30 luglio 2017

Częstochowa, luogo di pellegrini europei

Il pullman di Boscolo Tours ci fa scendere nel parcheggio del santuario. Siamo alle pendici della Jasna Góra (Monte Chiaro), di appena un centinaio di metri. Prediamo l'ombrello oppure no? Basta la giacca, è aprile! 

Il santuario, in pietra bianca, è il più illustre della Polonia e tra quelli più visitati d’Europa. Il monastero fu fondato nel 1382, per accogliere i monaci Paolini cacciati dall’Ungheria. Ci aspetta una guida turistica locale e quando la vediamo, scopriamo che è una piccola suora, dal fare spartano. Risulterà molto chiara e utile alla visita, che per qualcuno è un pellegrinaggio.
La città di Częstochowa conta circa 250 mila abitanti. Nel passato si arricchì grazie alle vicine miniere di ferro, oltre alla buona posizione stradale. Congiunge, infatti, la Valacchia e la Rutenia con la Bassa Slesia e la Sassonia.
Qui c’è la sacra immagine della Madonna Nera, protettrice dei polacchi. Secondo la tradizione l’immagine fu dipinta da San Luca su un asse del tavolo di casa della sacra famiglia di Nazareth. Ritrovata a Costantinopoli la tavola dipinta arrivò in Rutenia, una regione storica tra Ucraina e Slovacchia. Di lì giunse a Jasna Góra.

Più probabile che il dipinto sia stato dato in omaggio ai monaci dal duca Ladislao di Opole nel 1384. L’icona pare sia stata dipinta poco prima in Italia da un maestro della Scuola di Simone Martini.
Nel 1430, durante la settimana santa, il quadro fu rovinato da alcuni banditi che avevano assalito il  monastero. Così Ladislao II il Jagellone lo fece restaurare. Un’altra versione degli eventi riporta che il re fece rifare l’opera troppo danneggiata dai predoni. I due sfregi ancora visibili sul viso della Santa Vergine furono incisi in memoria dell’oltraggio sacrilego.
Altri racconti riportano che durante un assedio seicentesco i monaci esposero la Madonna agli assedianti che sparando contro l’icona si videro tornare indietro le pallottole, così cercarono la fuga.
L’altare maggiore della chiesa è tardo barocco. Fu realizzato a Breslavia su progetto di Giacomo Antonio Buzzini nel 1725-1728. Nelle sale limitrofe alla chiesa sono esposti vari ex-voto portati dai fedeli nel tempo. Gli altri altari sono dello stesso periodo.
Qui vicino c'è un curioso Parco delle Miniature sacre, con la statua di Papa Giovanni Paolo II più grande  del mondo, alta 14 metri e di 10 tonnellate di peso.


Bibliografia

Veronica Cornelli, Polonia, Milano, Touring Editore, 2014.

Altare maggiore della chiesa in stile tardo barocco. 
Fotografia di Elio Varutti
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Altri link di miei articoli nel web:

- E. Varutti, Visitare Varsavia, 2017.

-  E. Varutti, Gita a Cracovia, 2017.


- E. Varutti, Auschwitz, luogo della Shoah, 2017.

- E. Varutti, Gita a Bratislava, 2017.

sabato 29 luglio 2017

Visitare Varsavia

Si arriva verso sera. L'accompagnatore italiano di Boscolo Tours ci avverte che la guida locale è simpatica e brava, ma ripete spesso che: "Qui ci sono stati combattimenti, tanti morti e distruzioni". Insomma non dovevamo impressionarci. La guida polacca non solo è brava, ma ci ha raccontato con un certo garbo e trasporto quello che hanno patito gli ebrei polacchi sotto la violenza dei nazisti. Gli ebrei uccisi dai tedeschi sono 450 mila. Una cifra impressionante. Forse non ha torto la signora di lamentarsi e di ripetere che: "Qui ci sono stati tanti morti...". Ascoltare e riconoscere i fatti storici è una sorta di omaggio ai caduti, a mio parere.
Si fanno le prime fotografie ai grattacieli moderni e al Palazzo della Cultura e della Scienza, che a Varsavia ha dominato lo skyline fino agli anni Novanta del Novecento. 
Il Monumento agli eroi della Rivolta del Ghetto di Varsavia, del 1948, particolare. 
Fotografia di Elio Varutti

È uno dei monumenti più vistosi della città. Da bambini lo vedevamo immortalato perfino negli album delle figurine. È stato costruito nel 1952-1955, su progetto dell’architetto russo Lev Vladimirovič Rudnev, essendo un regalo dell’URRS alla Polonia. Ricorda, infatti, lo stile staliniano, o del classicismo socialista dei palazzi istituzionali di Mosca in riferimento agli anni 1950-1960.
Palazzo della Cultura e della Scienza, del 1952-1955. Fotografia di Elio Varutti

Dopo il 1989, data del crollo del vecchio regime socialista, ci sono molti grattacieli in stile occidentale, che fanno apparire una parte della capitale polacca, che conta oltre 1,7 milioni di abitanti, come un qualsiasi angolo delle metropoli americane, europee o asiatiche moderne.
Che cosa vai a vedere Varsavia, che è stata rasa al suolo dai nazisti? – mi aveva detto un amico. In effetti per l’84 per cento i crucchi l’hanno tirata giù coi cannoni, con le bombe d’aereo, oppure con l’esplosivo. È stato un lavoro meticoloso, ordinato, preciso, roba da tedeschi, insomma. È che non sopportavano che i polacchi si ribellassero. Erano ritenuti dal loro capo coi baffetti, come Untermensch, cioè esseri sub-umani, come tutti gli slavi. Dovevano essi morire, non riprodursi o fare da schiavi ai tedeschi. Sembra una teoria bislacca, invece a Hitler credono in molti. Così è accaduto il macello della seconda guerra mondiale. 
Varsavia del Duemila

Nel 1940 gli occupanti tedeschi costruiscono un muro attorno ai quartieri abitati dagli ebrei polacchi. È il ghetto di Varsavia. Ammassano oltre 450 mila persone in una superficie di 300 ettari. Man mano che li facevano fuori nei campi di sterminio con le camere a gas, i tedeschi riducevano gli spazi del ghetto. Il 19 aprile 1943 i giovani ebrei del ghetto organizzarono una rivolta, atto disperato e senza speranze. 
I nazisti soffocano nel sangue la ribellione, uccidono molti ebrei combattenti e deportano gli altri nei campi di sterminio. Poi, indisturbati, radono al suolo un edificio, dopo l’altro. Dell’antico ghetto ebraico oggi resta poco e niente. Oggi è una zona tutta ricostruita, a ovest del ponte di Danzica. Siamo tra ulica Slomińskiego, ulica Generała Andersa, ulica Marszałkowska e aleje Jerozolimskie.
Monumento agli eroi del Ghetto di Varsavia, opera del 1948. Fotografia di Elio Varutti

I nazisti, tuttavia, hanno risparmiato dalla distruzione sistematica una sinagoga, perché serviva loro come magazzino. Sennò dove mettevano tutte le robe sequestrate agli ebrei, per rivenderle? Si trova in ulica Twarda al n. 6. È la Sinagoga Noźyków. Risale al 1898 e fu voluta dai coniugi Zalman e Rywka Noźyk, da cui il nome. Completata nel 1902 in un elegante stile neorinascimentale, subì dei restauri nel periodo 1977-1983. La sinagoga si trova in mezzo ai grattacieli sorti come funghi. Lì vicino c’è pure il Teatro statale ebraico.
Struggente è il Monumento agli eroi della Rivolta del ghetto di Varsavia. L’opera è stata eretta nel 1948 dallo scultore Natan Rapaport in collaborazione con l’architetto Marek Suzin. Il monumento si compone di due facciate, fronte e retro, con due differenti sculture. La scultura della facciata "principale" (quella davanti) è dedicata agli eroi del ghetto con in primo piano, fra gli altri rivoltosi, l'eroe del ghetto Mordechaj Anielewicz. 
Sinagoga Noźyków, del 1898 a Varsavia

La seconda scultura (di dietro alla facciata principale del monumento) rappresenta uomini, donne e bambini che lottano tra le fiamme che lentamente divorano il ghetto e una processione di ebrei condotti ai campi di concentramento, si intravedono solo baionette ed elmetti dei soldati nazisti senza volto. Copie identiche di ambedue le sculture si trovano anche allo Yad Vashem di Gerusalemme. Il percorso della Via della Memoria è segnato da 16 blocchi di granito, con iscrizioni in polacco, yiddish ed ebraico, che commemorano i 450.000 ebrei uccisi nel ghetto e gli eroi della rivolta.
Varsavia - Museo della storia degli ebrei polacchi. Fotografia di Elio Varutti

Lì vicino c’è il Museo della storia degli ebrei polacchi (in polacco: POLIN - Muzeum Historii Żydów Polskich). È un museo della memoria costruito tra il 2007 e il 2013. È sito nella zona ove sorgeva il ghetto di Varsavia nel periodo dell'occupazione tedesca, durante la seconda guerra mondiale. La parola ebraica polin nel nome del museo significa, in italiano, rispettivamente “Polonia” e, allo stesso tempo “riposo qui” ed è legata ad una leggenda sull’arrivo dei primi ebrei in Polonia.
Anche le scale mobili sono un regalo dell’URSS ai polacchi. Curiosa è la originale centralina di controllo delle stesse scale mobili oggi mostrata come un trofeo ai passanti.
Il barbacane a due torri è del 1548. Costruito da Giovanni Battista da Venezia a difesa della città vecchia. Sono visibili vasti tratti del doppio anello di mura del Cinquecento.

Varsavia gode di almeno cinque grandi parchi. Noi del gruppo di Boscolo Tours abbiamo visitato il Belvedere, con una guida locale molto attenta e coinvolgente nel raccontare con parole semplici i fatti storici e nel richiamare con un sacchetto di noccioline i numerosi scoiattoli che zampettano tra gli alberi del bel parco.  
Ecco il Belvedere di Varsavia. Fotografia di Elio Varutti

Archeologia industriale. Centralina di controllo delle scale mobili costruite dai russi a Varsavia

Varsavia, Hotel Bristol

Barbacane con due torri a Varsavia
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Altri link di miei articoli nel web:


-  E. Varutti, Gita a Cracovia, 2017.


- E. Varutti, Auschwitz, luogo della Shoah, 2017.

- E. Varutti, Gita a Bratislava, 2017.