Facciamo un viaggio per immagini grazie alle stupende fotografie
di Hans Gerhard Kalian. L’artista austriaco ha immortalato i diorami di Franca
Venuti Caronna, artista friulana che riproduce in piccole dimensioni dei
quadretti della vita contadina friulana, con uno spirito di ricerca
etnografica.
Che cosa sono i diorami? Un diorama, o plastico tridimensionale, è un’ambientazione in scala ridotta, che ricrea scene umane di vario genere.
Che cosa sono i diorami? Un diorama, o plastico tridimensionale, è un’ambientazione in scala ridotta, che ricrea scene umane di vario genere.
Franca Venuti Caronna nel mese di ottobre 2014 ha esposto a Strassoldo, vicino al vecchio mulino del paese, non lontano dal cuore della frazione. È stata mostra singolare nel suo genere. È un’esposizione legata alla tradizione che descrive il Friuli contadino in miniatura.
Si è trattato di una quindicina di quadri-spazio che riproducono in scala un tipico ambiente friulano in pochi centimetri cubi. L’artista opera con vari materiali di recupero, per esempio cassette di frutta o parti di grondaia con cui fa le pentole.
Dal 20 dicembre 2014 a febbraio 2015 ha esposto le sue opere nel Palazzo Veneziano di Malborghetto Valbruna. Il racconto del Friuli contadino di un tempo fila via attraverso una quindicina di quadri-diorami con i tipici fogolârs, le calde cucine, la vecchia stalla, gli atri milleusi, i fienili, la stube e così via.
Nel mese di luglio 2015 la sua rassegna sulla vita contadina in Friuli è stata in esposizione a Feldkircher, in Austria, presso il “Feldkirchner Amthofmuseum”.
Nel dicembre 2015 la sua mostra è ritornata in Friuli, essendo stata presente al Castello Savorgnan di Artegna.
Nel dicembre 2015 la sua mostra è ritornata in Friuli, essendo stata presente al Castello Savorgnan di Artegna.
Le Sedonere
"Una gerla via per le strade,
senza fiato:
lamento di spalle spezzate,
di occhi sfiniti.
Una gerla davanti alle porte
Senza cuore:
sudore di sgorbia,
carico da vendere
a chi guarda
e non conosce la fame."
Questi i versi con cui Novella Cantarutti celebra e descrive
le “sedonere”, figlie di quella Val Cellina povera e isolata che le volle
randagie per il mondo, lontane dagli affetti e dal conforto della famiglia;
peregrine forti e risolute, pronte a ogni sacrificio per garantire il “pane
quotidiano” alla loro prole. Il fenomeno
della migrazione femminile valcellinese è storia antica, dettata dalla miseria
di una valle a cui anche la natura ha concesso pochi favori. Una valle nella
quale l’unica risorsa naturale abbondante fu il legno, quel legno prezioso che
abili mani maschili seppero trasformare in mestoli, fascere, forchette e
cucchiai … oggetti di uso quotidiano da consegnare alle spalle robuste delle
coraggiose “sedonere”. In friulano si scrive: la sedonarie (singolare femminile per “la
mestolaia”) e lis sedonariis (plurale, “le mestolaie”).
Il perché di questo quadro è presto spiegato. L’opera
raffigurante il Larin della Trattoria ai Frati di Udine, così come la si vede
ora, è frutto di una integrazione, ovvero dell’aggiunta della gerla con i
mestoli di legno e del piccolo libro con la copertina blu. Integrazione che
avvenne mentre il manufatto era in mostra presso la sala della contadinanza del
Castello di Udine, allorquando, negli stessi ambienti, venne assegnato il premio
“Isi Benini” all’interessantissima tesi di laurea di Anna Leo dedicata per
l'appunto al commercio ambulante delle ultime sedonere della Valcellina. Opera del
1995.
La cantina
L’arte di produrre vino è un concetto dal quale non si può
prescindere se si vuole parlare del Friuli Venezia Giulia. Il binomio tra
questa regione e i mosti d’uva distillati nei vari Tocai, Merlot e Cabernet ha
origini antiche, tant’è che prima che il vino diventasse un “affare economico”
a livello industriale, quasi ogni casa
contadina del medio e basso Friuli, custodiva una cantina con le botti nelle
quali far fermentare il vino necessario a soddisfare i bisogni famigliari. Nel
diorama è rappresentata una tipica cantina friulana. Un antro buio e ammuffito,
la cui umidità era garantita dal fatto che la pavimentazione fosse costituita
da terra battuta e solo in parte realizzata con pietre e materiali di risulta.
Una delle botti presenti nell’opera è un omaggio al “Vino della pace”; un vino
arricchito dai profumi di 600 vitigni diversi provenienti da tutti i continenti
e messi a dimora, a partire dal 1983, su di un appezzamento delle sinuose
colline del Collio. Imbottigliato in un numero limitato di bottiglie,
impreziosite da etichette realizzate dai più importanti artisti italiani ed
europei, viene donato, quale dono e invito alla convivialità tra i popoli, a
tutti i capi di stato e ai più alti esponenti religiosi del mondo.
La stalla
Nel Friuli contadino, la stalla non era soltanto il luogo
dove ricoverare il bestiame e qualche attrezzo di lavoro, ma era anche
un’estensione dello spazio domestico; l’unico, peraltro, che poteva vantare un
riscaldamento costante a costo zero. In un’epoca in cui
l’approvvigionamento del legname era,
per carenza di mezzi, un’impresa faticosa e rischiosa, il calore emanato dai
bovini rappresentava un risorsa preziosa. Fu così che, fino a tempi relativamente
recenti, la stalla venne utilizzata al pari di una qualsiasi stanza della casa,
luogo dove la sera ci si ritrovava a compiere piccoli lavori manuali, dove si
lavavano i bambini e dove i più anziani narravano qualche antica leggenda
confortati dal tepore animale. Opera del 1995.
Piazza Matteotti, in
antico: San Giacomo
La composizione, realizzata in occasione della prima edizione
della manifestazione enogastronomica “Friuli Doc” del 1995, “racconta”,
assumendone una a paradigma di tante, il lavoro delle contadine della periferia
udinese che, agli albori del giorno, raccoglievano le verdure e gli ortaggi dai
loro campi e si recavano a vendere i frutti della loro terra in quella che
molti ricordano come “piazza dell’erbe” (attuale piazza Matteotti). La disposizione, la tipologia dei contenitori e
l’abbigliamento della donna contestualizzano la scena nel periodo antecedente
la legiferazione delle rigide norme finanziarie che sancirono l’obbligo dei
registratori di cassa, decretando, in tal modo, la fine di quella microeconomia
che serviva ad integrare l’esiguo bilancio famigliare e la scomparsa dell’anima
poetica e colorata dell’antico mercato spontaneo. Sullo sfondo pochi ed
essenziali tratti pittorici definiscono lo skyline della piazza, con la fontana
di Giovanni da Udine, della metà del ‘500, con la colonna della Madonna col
Bambino, della fine del 1400, e con la splendida facciata della chiesa di San
Giacomo.
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Omaggio a Isi Benini
Il quadro tridimensionale raffigurante una tipica cucina
friulana cristallizzata in un tempo remoto nasce per essere un omaggio a Isi
Benini, gigante del giornalismo regionale. Eclettico cantore del Friuli, Benini
dedicò parte della sua produzione letteraria alla straordinaria ricchezza
dell’enogastronomia tipica regionale che seppe descrivere come nessun altro.
L’opera è un piccolo compendio di friulanità nel quale sono
disseminati, qua e là, molti degli “ingredienti base” della tipica cucina
contadina: le zucche per gli “inarrivabili gnocs di cavoces della Carnia… quelli fatti con la zucca
gialla e cosparsi di burro fuso bollente… il radicchio, quello da condire con
li frizzis… i fagioli, quelli da far bollire per ore assieme all’orzo e la
caldaia con la crosticina croccante e profumata della polenta… quella carnica,
macinata a grana grossa su mole di pietra. Sul davanzale una bottiglia
polverosa, forse di prezioso Picolit il roy dell’enologia friulana e italiana .
E poi là, sull’acquaio di pietra, un mazzo di asparagi… altro omaggio a Isi,
deus ex machina dell’Asparagus, straordinaria rassegna gastronomica nata per
celebrare l’asparago, profumato reuccio degli orti di Tavagnacco, come lo
definì Benini. Insomma qui c’è tanto Friuli e ci sono i frutti della terra
friulana, quelli che il palato intelligente di Isi Benini seppe gustare e il
suo calamo abilissimo seppe cantare.
Il Camarin
Il camarin è il termine friulano col quale si identifica la
dispensa, ovvero “la cassaforte” della casa contadina di un tempo. Salumi,
formaggi, legumi secchi, farina, lardo e vino venivano meticolosamente stipati
sugli scaffali della stanzetta per garantire l’approvvigionamento alimentare
durante il periodo invernale. Orgoglio e vanto della padrona di casa un camarin
ben fornito era l’esito del faticoso lavoro nei campi, dell’allevamento del
bestiame e di un attenta e oculata gestione dell’economia famigliare. Un bottino
conquistato col sudore che doveva essere gestito con parsimonia e protetto,
chiuso con quelle chiavi che solo lei poteva custodire.
Credenza con piattaia
Opera premiata col Gianfrancesco da Tolmezzo in occasione
della diciassettesima rassegna artistica della Carnia (Socchieve 1996); protagonista la cucina
friulana. Accanto al consueto focolare trova collocazione una bella credenza a
pianta rettangolare con spigoli anteriori smussati con sovrapposta
piatteria sulla quale sono esposti
piatti decorati, “miniceramiche” ispirate alle note produzioni con fiori e
motti friulani della fabbrica Galvani, fondata a Pordenone nel 1811. Sulla
parete i preziosi rami; tra di essi il tipico tegame con decorazione a sbalzo
raffigurante la stella, che, secondo tradizione, la sposa inseriva nel suo
corredo come elemento scaramantico, garante della buona sorte del matrimonio.
Si ringrazia per le fotografie: Hans Gerhard Kalian, Grafik- und Webdesign. Strau, Österreich.
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Per approfondimenti nel web:
- E. Varutti, La casa contadina della Val Canale in diorama, Malborghetto, recensione nel blog del 2016.
- E. Varutti, I diorami di Franca Venuti Caronna, articolo del 2017.
- Su youtube: Laura Magri (a cura di), Nel magico mondo della Valcanale - Malborghetto (UD), 2015. Musiche del video-clip di Adriano Sangineto.
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