lunedì 22 maggio 2017

A Feldkircher i diorami di Franca Venuti, 2015

Facciamo un viaggio per immagini grazie alle stupende fotografie di Hans Gerhard Kalian. L’artista austriaco ha immortalato i diorami di Franca Venuti Caronna, artista friulana che riproduce in piccole dimensioni dei quadretti della vita contadina friulana, con uno spirito di ricerca etnografica.
Che cosa sono i diorami? Un diorama, o plastico tridimensionale, è un’ambientazione in scala ridotta, che ricrea scene umane di vario genere.
Franca Venuti Caronna nel mese di ottobre 2014 ha esposto a Strassoldo, vicino al vecchio mulino del paese, non lontano dal cuore della frazione. È stata mostra singolare nel suo genere. È un’esposizione legata alla tradizione che descrive il Friuli contadino in miniatura.
Si è trattato di una quindicina di quadri-spazio che riproducono in scala un tipico ambiente friulano in pochi centimetri cubi. L’artista opera con vari materiali di recupero, per esempio cassette di frutta o parti di grondaia con cui fa le pentole.
Dal 20 dicembre 2014 a febbraio 2015 ha esposto le sue opere nel Palazzo Veneziano di Malborghetto Valbruna. Il racconto del Friuli contadino di un tempo fila via attraverso una quindicina di quadri-diorami con i tipici fogolârs, le calde cucine, la vecchia stalla, gli atri milleusi, i fienili, la stube e così via.
Nel mese di luglio 2015 la sua rassegna sulla vita contadina in Friuli è stata in esposizione a Feldkircher, in Austria, presso il “Feldkirchner Amthofmuseum”.
Nel dicembre 2015 la sua mostra è ritornata in Friuli, essendo stata presente al Castello Savorgnan di Artegna.


Le Sedonere

"Una gerla via per le strade,
senza fiato:
lamento di spalle spezzate,
di occhi sfiniti.
Una gerla davanti alle porte
Senza cuore:
sudore di sgorbia,
carico da vendere
a chi guarda
 e non conosce la fame."

Questi i versi con cui Novella Cantarutti celebra e descrive le “sedonere”, figlie di quella Val Cellina povera e isolata che le volle randagie per il mondo, lontane dagli affetti e dal conforto della famiglia; peregrine forti e risolute, pronte a ogni sacrificio per garantire il “pane quotidiano” alla loro prole.  Il fenomeno della migrazione femminile valcellinese è storia antica, dettata dalla miseria di una valle a cui anche la natura ha concesso pochi favori. Una valle nella quale l’unica risorsa naturale abbondante fu il legno, quel legno prezioso che abili mani maschili seppero trasformare in mestoli, fascere, forchette e cucchiai … oggetti di uso quotidiano da consegnare alle spalle robuste delle coraggiose “sedonere”. In friulano si scrive: la sedonarie (singolare femminile per “la mestolaia”) e lis sedonariis (plurale, “le mestolaie”).

Il perché di questo quadro è presto spiegato. L’opera raffigurante il Larin della Trattoria ai Frati di Udine, così come la si vede ora, è frutto di una integrazione, ovvero dell’aggiunta della gerla con i mestoli di legno e del piccolo libro con la copertina blu. Integrazione che avvenne mentre il manufatto era in mostra presso la sala della contadinanza del Castello di Udine, allorquando, negli stessi ambienti, venne assegnato il premio “Isi Benini” all’interessantissima tesi di laurea di Anna Leo dedicata per l'appunto al commercio ambulante delle ultime sedonere della Valcellina. Opera del 1995.


La cantina

L’arte di produrre vino è un concetto dal quale non si può prescindere se si vuole parlare del Friuli Venezia Giulia. Il binomio tra questa regione e i mosti d’uva distillati nei vari Tocai, Merlot e Cabernet ha origini antiche, tant’è che prima che il vino diventasse un “affare economico” a livello industriale, quasi  ogni casa contadina del medio e basso Friuli, custodiva una cantina con le botti nelle quali far fermentare il vino necessario a soddisfare i bisogni famigliari. Nel diorama è rappresentata una tipica cantina friulana. Un antro buio e ammuffito, la cui umidità era garantita dal fatto che la pavimentazione fosse costituita da terra battuta e solo in parte realizzata con pietre e materiali di risulta. Una delle botti presenti nell’opera è un omaggio al “Vino della pace”; un vino arricchito dai profumi di 600 vitigni diversi provenienti da tutti i continenti e messi a dimora, a partire dal 1983, su di un appezzamento delle sinuose colline del Collio. Imbottigliato in un numero limitato di bottiglie, impreziosite da etichette realizzate dai più importanti artisti italiani ed europei, viene donato, quale dono e invito alla convivialità tra i popoli, a tutti i capi di stato e ai più alti esponenti religiosi del mondo.


La stalla

Nel Friuli contadino, la stalla non era soltanto il luogo dove ricoverare il bestiame e qualche attrezzo di lavoro, ma era anche un’estensione dello spazio domestico; l’unico, peraltro, che poteva vantare un riscaldamento costante a costo zero. In un’epoca in cui l’approvvigionamento  del legname era, per carenza di mezzi, un’impresa faticosa e rischiosa, il calore emanato dai bovini rappresentava un risorsa preziosa. Fu così che, fino a tempi relativamente recenti, la stalla venne utilizzata al pari di una qualsiasi stanza della casa, luogo dove la sera ci si ritrovava a compiere piccoli lavori manuali, dove si lavavano i bambini e dove i più anziani narravano qualche antica leggenda confortati dal tepore animale. Opera del 1995.



Piazza Matteotti, in antico: San Giacomo

La composizione, realizzata in occasione della prima edizione della manifestazione enogastronomica “Friuli Doc” del 1995, “racconta”, assumendone una a paradigma di tante, il lavoro delle contadine della periferia udinese che, agli albori del giorno, raccoglievano le verdure e gli ortaggi dai loro campi e si recavano a vendere i frutti della loro terra in quella che molti ricordano come “piazza dell’erbe” (attuale piazza Matteotti). La  disposizione, la tipologia dei contenitori e l’abbigliamento della donna contestualizzano la scena nel periodo antecedente la legiferazione delle rigide norme finanziarie che sancirono l’obbligo dei registratori di cassa, decretando, in tal modo, la fine di quella microeconomia che serviva ad integrare l’esiguo bilancio famigliare e la scomparsa dell’anima poetica e colorata dell’antico mercato spontaneo. Sullo sfondo pochi ed essenziali tratti pittorici definiscono lo skyline della piazza, con la fontana di Giovanni da Udine, della metà del ‘500, con la colonna della Madonna col Bambino, della fine del 1400, e con la splendida facciata della chiesa di San Giacomo.
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Omaggio a Isi Benini
Il quadro tridimensionale raffigurante una tipica cucina friulana cristallizzata in un tempo remoto nasce per essere un omaggio a Isi Benini, gigante del giornalismo regionale. Eclettico cantore del Friuli, Benini dedicò parte della sua produzione letteraria alla straordinaria ricchezza dell’enogastronomia tipica regionale che seppe descrivere come nessun altro.

L’opera è un piccolo compendio di friulanità nel quale sono disseminati, qua e là, molti degli “ingredienti base” della tipica cucina contadina: le zucche per gli “inarrivabili gnocs di cavoces  della Carnia… quelli fatti con la zucca gialla e cosparsi di burro fuso bollente… il radicchio, quello da condire con li frizzis… i fagioli, quelli da far bollire per ore assieme all’orzo e la caldaia con la crosticina croccante e profumata della polenta… quella carnica, macinata a grana grossa su mole di pietra. Sul davanzale una bottiglia polverosa, forse di prezioso Picolit il roy dell’enologia friulana e italiana . E poi là, sull’acquaio di pietra, un mazzo di asparagi… altro omaggio a Isi, deus ex machina dell’Asparagus, straordinaria rassegna gastronomica nata per celebrare l’asparago, profumato reuccio degli orti di Tavagnacco, come lo definì Benini. Insomma qui c’è tanto Friuli e ci sono i frutti della terra friulana, quelli che il palato intelligente di Isi Benini seppe gustare e il suo calamo abilissimo seppe cantare.




Il Camarin

Il camarin è il termine friulano col quale si identifica la dispensa, ovvero “la cassaforte” della casa contadina di un tempo. Salumi, formaggi, legumi secchi, farina, lardo e vino venivano meticolosamente stipati sugli scaffali della stanzetta per garantire l’approvvigionamento alimentare durante il periodo invernale. Orgoglio e vanto della padrona di casa un camarin ben fornito era l’esito del faticoso lavoro nei campi, dell’allevamento del bestiame e di un attenta e oculata gestione dell’economia famigliare. Un bottino conquistato col sudore che doveva essere gestito con parsimonia e protetto, chiuso con quelle chiavi che solo lei poteva custodire.

            
     Credenza con piattaia
Opera premiata col Gianfrancesco da Tolmezzo in occasione della diciassettesima rassegna artistica della Carnia  (Socchieve 1996); protagonista la cucina friulana. Accanto al consueto focolare trova collocazione una bella credenza a pianta rettangolare con spigoli anteriori smussati con sovrapposta piatteria  sulla quale sono esposti piatti decorati, “miniceramiche” ispirate alle note produzioni con fiori e motti friulani della fabbrica Galvani, fondata a Pordenone nel 1811. Sulla parete i preziosi rami; tra di essi il tipico tegame con decorazione a sbalzo raffigurante la stella, che, secondo tradizione, la sposa inseriva nel suo corredo come elemento scaramantico, garante della buona sorte del matrimonio.

Si ringrazia per le fotografie: Hans Gerhard Kalian, Grafik- und Webdesign. Strau, Österreich.
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Per approfondimenti nel web:
- E. Varutti, La casa contadina della Val Canale in diorama, Malborghetto, recensione nel blog del 2016.
- E. Varutti, I diorami di Franca Venuti Caronna, articolo del 2017.
- Su youtube: Laura Magri (a cura di), Nel magico mondo della Valcanale - Malborghetto (UD), 2015. Musiche del video-clip di Adriano Sangineto.

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