domenica 16 settembre 2018

Armando Delzotto e i suoi ricordi di Dignano d’Istria fino al 1943, un libro del 2012


Ho riletto con piacere il volume di Armando Delzotto intitolato: I miei ricordi di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), Udine, Edizioni del Sale, 2012. Sin dalla sua uscita il piccolo testo suscitò un certo interesse con richieste per riceverlo da dignanesi di varie parti d’Italia, Sicilia compresa e, perfino, dagli Stati Uniti d’America. L’esodo giuliano dalmata, del resto, ha sparpagliato per benino i profughi in giro per il mondo.
Dignano d'Istria 1932, la Bianchi S 9 delle famiglie Delzotto e Fortunato, con Antonio Delzotto al volante e il figlio Giovanin sulla ruota di scorta. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto

Siccome il volume è esaurito presso l’editore, cercherò di riportare cosa ha scritto l’autore, che è socio emerito del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). Come mai mi permetto di definirlo emerito? Beh, come tutti gli istriani “non è mai stato con le mani in mano”. Questa è una delle più comuni definizioni riprese dal vocabolario di don Tarcisio Bordignon, parroco di San Pio X a Udine, dal 1966 al 2014, nella stessa zona dove funzionò dal 1945 al 1960 il Centro smistamento profughi più importante d’Italia. Da lì passarono oltre centomila fuggitivi dall’Istria, Fiume e Dalmazia, in fuga dalle violenze titine, per essere sventagliati in oltre cento Centri raccolta profughi aperti in giro per l’Italia dal dopoguerra.
Bumbaro eccellente del clan Terere, Armado Delzotto è nato a Dignano d’Istria il 5 febbraio 1926 da Antonio Delzotto e Maria Birattari. Si ricorda che col termine bumbaro si intende un dignanese verace, che parla il dialetto istrioto di derivazione neolatina.
Dai primi anni del Novecento il babbo del nostro autore, Antonio Delzotto, assieme allo zio Stefano Fortunato misero in piedi un fiorente negozio di manifatture e di tessuti. Si creò così un certo benessere nelle famiglie Delzotto & Fortunato, formate rispettivamente dai coniugi e da tre figli ciascuna. Armando ha due fratelli, Giovanin e Luciano. Poi ci sono i tre cugini Fortunato: ancora un Giovanin, Gigi e Maria.
Dignano d'Istria, 1933. Chierichetti con bandiera. Seduto al centro il parroco don Gaspard, dietro a lui, con una crocetta, Armando Delzotto e, in piedi a destra, don Fabbro. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto

Sin dalla prima pagina del libro-memoriale si legge della fuga notturna, avvenuta il 25 settembre 1943. Tranne Giovanin Delzotto, i due gruppi familiari, alla chetichella, vanno a Fasana dall’amico pescatore Scabossi e col suo peschereccio ha inizio l’esodo. Navigando sotto costa passano per Trieste e, poi fino a Venezia, dove il ventinovenne Giovanin aspettava gli esiliati. Passano i primi giorni in un albergo, questo strano tipo di esuli poi, trovata una casa in affitto nei pressi del Ponte di Rialto, i due imprenditori riprendono l’attività commerciale. Questi dieci esuli istriani non sono di certo conteggiati nelle statistiche degli oltre 200 mila italiani scappati dalle terre perse e aiutati dall’Opera profughi. Molti esuli si sono arrangiati da soli. Ecco perché padre Flaminio Rocchi riporta il numero di fuggitivi a oltre 350 mila individui.
La famiglia Fortunato nel 1947 decise di separarsi dalla famiglia Delzotto anche nelle attività mercantili. Loro tentarono un infelice rientro a Dignano, per trasferirsi definitivamente a Torino.
Anche la famiglia Delzotto subì dei cambiamenti, dato che Giovanin restò per un po’ di tempo a Venezia, per emigrare verso il Venezuela, dove morì. Il fratello Luciano, laureatosi in medicina, si trasferì a Treviso e poi a Mestre, dove morì e dove morirono pure i due genitori Delzotto. L’autore, laureatosi in ingegneria, nel 1953 partì per Cagliari, per lavorare alla saline di Macchiareddu. Poi rientrò in Veneto, lavorò a Catanzaro e a Udine con l’Agip e nel 1956 si sposò con Milvia, che gli diede due figli Gianni e Claudio. Nel 1986 giunse la meritata quiescenza, così con la moglie si trasferì a Collina di Forni Avoltri (UD), in alta montagna, lo stesso luogo di villeggiatura di alcune famiglie istriane degli anni Trenta. Armando Delzotto, dal 1990 al 1995, fu eletto addirittura sindaco di Forni Avoltri.
Sulla strada per Pola. Gita da Dignano in bicicletta nel 1943. Qualche sorriso, prima dell'8 settembre, dopo di che ci sarà poco da ridere. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto

Come mai le famiglie Delzotto e Fortunato fuggono da Dignano d’Istria in quella serena serata del 25 settembre 1943, mollando tutti i beni materiali? Presto detto. A pagina 9, l’autore spiega l’atteggiamento degli slavi che convivevano con gli italiani istriani. “Ci sopportavano, ma non ci amavano, anche e soprattutto per le angherie cervellotiche subite dalle nostre istituzioni nazionali e locali, poco o per niente lungimiranti. Già non ci amavano gli slavi, ma gli slavi di Tito addirittura ci odiavano e avevano tutta l’intenzione di eliminare fisicamente quanti più italiani possibile, specie i benestanti, i professionisti e, soprattutto, quelli che potevano avere la volontà e la capacità di intralciare le loro mire espansionistiche sull’Istria”. Fuggirono, insomma, per non essere “destinati alla foibe”.
L’autore fa anche un po’ di storia del paese natale. Da quel “Attinianum” di epoca romana alla sottomissione di Dignano a Venezia, nel 1331. Non tralascia le migrazioni slave, il 1797 per passare poi all’Austria e, nel 1918, al Regno d’Italia, dopo la Grande Guerra, al fascismo e al secondo conflitto mondiale. Col trattato di pace del 1947 Dignano passa sotto la Jugoslavia, che – ci permettiamo di aggiungere – si disfa nell’ultimo decennio del Novecento, con sanguinose guerre fratricide.
Dignano d'Istria, 2012. le vetrine del'ex negozio Delzotto e Fortunato. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto

L’autore ci spiega la semplice bellezza del suo paese, dove non c’era l’acqua corrente, ma ci si doveva approvvigionare nei pozzi collegati alle cisterne (pag. 21). Poi c’è la prima descrizione di un comportamento sociale legato alla tradizioni popolari: le rogazioni. A scopo di invocare la pioggia si tenevano delle processioni, che per i ragazzi erano anche delle spensierate scampagnate (p. 23).
Interessanti sono le descrizioni dei cibi. Si va dalle ciuche, ossia le lumache, da consumare con la polenta, che accompagnava pure il pesce fritto. La pasta e fagioli “con la porcina”, carne ovina si alterna al baccalà mantecato, ma anche la fritaia coi sparisi selvadighi del prostimo (frittata con asparagi selvatici di bosco) (p. 29). Il tutto da bagnare col Teran, oppure col vino bianco Malvasia.
Vengono ricordati nel libro gli orizzonti con l’isola di Brioni e la Savata, ovvero l’isola di San Girolamo, definita in quel modo per il suo profilo da ciabatta. Ci sono i luoghi della villeggiatura marina: Barbariga, Valcadena di Brioni, Medolin, Villa Manerini e Fasana, col bar Marinich (p. 64). Le famiglie ci arrivavano con l’automobile, una Bianchi S 9.
Dignano d'Istria, pozzo di Casa Derocchi, con l'autore nel 2010. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto

I resoconti della vita scolastica sono intervallati dalle punizioni del maestro Franzitta (p. 84). C’è il treno delle Tabacchine, che portava da Dignano e da altri paesi limitrofi le donne a lavorare alla Manifattura Tabacchi di Pola (p. 86). Il brano più esilarante riguarda la scena dello scolaro Menighetto Groppuzzo, bisognoso del gabinetto. Tirato un calcio alla porta dei servizi igienici, si liberò dei suoi liquidi in eccesso, ma si ritrovò a bagnare copiosamente i pantaloni del professor Stefanacci. Resosi conto del gesto malsano Menighetto corse in classe gridando disperatamente: “Gò pissà su le braghe de Stefanacci!” (p. 88). Superata la prima liceo a Pola, il nostro autore, a diciassette anni, prese la via dell’esodo con la famiglia, come si è detto.
Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, firmata dall’architetto Carlo Conighi, presidente della sede provinciale di Udine, 1948-1952. Collezione Helga Conighi, Udine

Prima del fascismo, lo zio e il babbo in bottega parlavano in italiano e con i contadini croati, anche in dialetto locale. Dopo il fascismo, ci fu l’imposizione della lingua italiana e il divieto di parlare slavo. Nel negozio collaboravano cinque garzoni, nel 1933, ma i rapporti con i clienti croati del contado si guastarono, perché essi erano troppo orgogliosi di parlare solo nel loro dialetto (p. 103). Tra i ricordi di vita paesana affiorano il gelataio Guerrino, di fronte alla Chiesa del Carmine, la banda musicale, la vendemmia e l’olio venduto alla borsa nera (p. 106).
Dopo l’8 settembre alle porte di Dignano si verifica una vera e propria battaglia tra partigiani titini e truppe tedesche. In quel frangente, spiega Delzotto, i “fascisti piuttosto cattivelli” si rifugiano da parenti, togliendosi la camicia nera e chiedendo piangenti degli abiti borghesi. Le case di Dignano vengono visitate dai partigiani titini che vogliono ammazzare fascisti e italiani, mentre i tedeschi entrano in casa con armi spianate cercando partigiani, fino in soffitta. Ecco il motivo delle prime fughe dall’Istria (p. 111).
Il libro di Delzotto si chiude con una descrizione dei giochi popolari, come il pindolo, le s-cinche (palline di vetro), il surlo (cono di legno) da roteare e le laure, pietre piatte, da utilizzare come nel gioco delle bocce (pp. 124-125). Le ultime pagine sono dedicate alla villeggiatura montana e agli amori giovanili.
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Armando Delzotto, I miei ricordi di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), Udine, Edizioni del Sale, 2012, pagg. 160.
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Note dal web

Antonio Toffetti, nato in “Contrada dell’asedo” a Dignano d'Istria nel 1936, che vive Trieste, dopo aver letto questa recensione al libro di Delzotto diffusa nel gruppo di Facebook “Esodo istriano per non dimenticare”, il giorno 18 settembre 2018, ha scritto: “Anche mi in quel stesso periodo, iero picio, ma me ricordo ben, in strada qualche moredo me ga dito che anche mi finirò in foiba. Poco dopo semo vignui a Trieste in treno”.

Cartolina di Dignano nei primi anni del '900. Editore Alois Beer di Klagenfurt. Ripresa da Facebook
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Cenno sitologico sui giochi popolari
E. Varutti, “Balas e Zogo del corno. Continuitât e diferencis suntun zûc fat dai tiessidôrs cjargnei e di chei istrians”, «Sot la Nape», luglio 2010. Disponibile anche nel web.
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Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo e Sebastiano Pio Zucchiatti. Recensione di E. Varutti. Fotografie riprese dal volume di Armando Delzotto, da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

La copertina del libro di Armando Delzotto, del 2012

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