Ho riletto con piacere il volume di Armando Delzotto
intitolato: I miei ricordi di Dignano
d’Istria (dalla nascita all’esodo), Udine, Edizioni del Sale, 2012. Sin dalla
sua uscita il piccolo testo suscitò un certo interesse con richieste per
riceverlo da dignanesi di varie parti d’Italia, Sicilia compresa e, perfino,
dagli Stati Uniti d’America. L’esodo giuliano dalmata, del resto, ha
sparpagliato per benino i profughi in giro per il mondo.
Dignano d'Istria 1932, la Bianchi S 9 delle famiglie Delzotto e Fortunato, con Antonio Delzotto al volante e il figlio Giovanin sulla ruota di scorta. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto
Siccome il volume è esaurito presso l’editore, cercherò di riportare
cosa ha scritto l’autore, che è socio emerito del Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). Come mai mi permetto di definirlo
emerito? Beh, come tutti gli istriani “non è mai stato con le mani in mano”.
Questa è una delle più comuni definizioni riprese dal vocabolario di don Tarcisio
Bordignon, parroco di San Pio X a Udine, dal 1966 al 2014, nella stessa zona
dove funzionò dal 1945 al 1960 il Centro smistamento profughi più importante d’Italia.
Da lì passarono oltre centomila fuggitivi dall’Istria, Fiume e Dalmazia, in
fuga dalle violenze titine, per essere sventagliati in oltre cento Centri
raccolta profughi aperti in giro per l’Italia dal dopoguerra.
Bumbaro eccellente del clan Terere, Armado Delzotto è nato a Dignano
d’Istria il 5 febbraio 1926 da Antonio Delzotto e Maria Birattari. Si ricorda
che col termine bumbaro si intende un
dignanese verace, che parla il dialetto istrioto di derivazione neolatina.
Dai primi anni del Novecento il babbo del nostro autore,
Antonio Delzotto, assieme allo zio Stefano Fortunato misero in piedi un
fiorente negozio di manifatture e di tessuti. Si creò così un certo benessere
nelle famiglie Delzotto & Fortunato, formate rispettivamente dai coniugi e
da tre figli ciascuna. Armando ha due fratelli, Giovanin e Luciano. Poi ci sono
i tre cugini Fortunato: ancora un Giovanin, Gigi e Maria.
Dignano d'Istria, 1933. Chierichetti con bandiera. Seduto al centro il parroco don Gaspard, dietro a lui, con una crocetta, Armando Delzotto e, in piedi a destra, don Fabbro. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto
Sin dalla prima pagina del libro-memoriale si legge della
fuga notturna, avvenuta il 25 settembre 1943. Tranne Giovanin Delzotto, i due
gruppi familiari, alla chetichella, vanno a Fasana dall’amico pescatore Scabossi
e col suo peschereccio ha inizio l’esodo. Navigando sotto costa passano per
Trieste e, poi fino a Venezia, dove il ventinovenne Giovanin aspettava gli
esiliati. Passano i primi giorni in un albergo, questo strano tipo di esuli
poi, trovata una casa in affitto nei pressi del Ponte di Rialto, i due imprenditori
riprendono l’attività commerciale. Questi dieci esuli istriani non sono di
certo conteggiati nelle statistiche degli oltre 200 mila italiani scappati dalle
terre perse e aiutati dall’Opera profughi. Molti esuli si sono arrangiati da
soli. Ecco perché padre Flaminio Rocchi riporta il numero di fuggitivi a oltre
350 mila individui.
La famiglia Fortunato nel 1947 decise di separarsi dalla
famiglia Delzotto anche nelle attività mercantili. Loro tentarono un infelice
rientro a Dignano, per trasferirsi definitivamente a Torino.
Anche la famiglia Delzotto subì dei cambiamenti, dato che
Giovanin restò per un po’ di tempo a Venezia, per emigrare verso il Venezuela,
dove morì. Il fratello Luciano, laureatosi in medicina, si trasferì a Treviso e
poi a Mestre, dove morì e dove morirono pure i due genitori Delzotto. L’autore,
laureatosi in ingegneria, nel 1953 partì per Cagliari, per lavorare alla saline
di Macchiareddu. Poi rientrò in Veneto, lavorò a Catanzaro e a Udine con l’Agip
e nel 1956 si sposò con Milvia, che gli diede due figli Gianni e Claudio. Nel 1986 giunse la
meritata quiescenza, così con la moglie si trasferì a Collina di Forni Avoltri
(UD), in alta montagna, lo stesso luogo di villeggiatura di alcune famiglie
istriane degli anni Trenta. Armando Delzotto, dal 1990 al 1995, fu eletto
addirittura sindaco di Forni Avoltri.
Sulla strada per Pola. Gita da Dignano in bicicletta nel 1943. Qualche sorriso, prima dell'8 settembre, dopo di che ci sarà poco da ridere. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto
Come mai le famiglie Delzotto e Fortunato fuggono da Dignano
d’Istria in quella serena serata del 25 settembre 1943, mollando tutti i beni
materiali? Presto detto. A pagina 9, l’autore spiega l’atteggiamento degli
slavi che convivevano con gli italiani istriani. “Ci sopportavano, ma non ci
amavano, anche e soprattutto per le angherie cervellotiche subite dalle nostre
istituzioni nazionali e locali, poco o per niente lungimiranti. Già non ci
amavano gli slavi, ma gli slavi di Tito addirittura ci odiavano e avevano tutta
l’intenzione di eliminare fisicamente quanti più italiani possibile, specie i
benestanti, i professionisti e, soprattutto, quelli che potevano avere la
volontà e la capacità di intralciare le loro mire espansionistiche sull’Istria”.
Fuggirono, insomma, per non essere “destinati alla foibe”.
L’autore fa anche un po’ di storia del paese natale. Da quel “Attinianum”
di epoca romana alla sottomissione di Dignano a Venezia, nel 1331. Non tralascia
le migrazioni slave, il 1797 per passare poi all’Austria e, nel 1918, al Regno
d’Italia, dopo la Grande Guerra, al fascismo e al secondo conflitto mondiale. Col
trattato di pace del 1947 Dignano passa sotto la Jugoslavia, che – ci permettiamo
di aggiungere – si disfa nell’ultimo decennio del Novecento, con sanguinose
guerre fratricide.
Dignano d'Istria, 2012. le vetrine del'ex negozio Delzotto e Fortunato. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto
L’autore ci spiega la semplice bellezza del suo paese, dove
non c’era l’acqua corrente, ma ci si doveva approvvigionare nei pozzi collegati
alle cisterne (pag. 21). Poi c’è la prima descrizione di un comportamento
sociale legato alla tradizioni popolari: le rogazioni. A scopo di invocare la
pioggia si tenevano delle processioni, che per i ragazzi erano anche delle spensierate
scampagnate (p. 23).
Interessanti sono le descrizioni dei cibi. Si va dalle ciuche, ossia le lumache, da consumare
con la polenta, che accompagnava pure il pesce fritto. La pasta e fagioli “con
la porcina”, carne ovina si alterna al baccalà mantecato, ma anche la fritaia coi sparisi selvadighi del prostimo
(frittata con asparagi selvatici di bosco) (p. 29). Il tutto da bagnare col Teran, oppure col vino bianco Malvasia.
Vengono ricordati nel libro gli orizzonti con l’isola di
Brioni e la Savata, ovvero l’isola di
San Girolamo, definita in quel modo per il suo profilo da ciabatta. Ci sono i luoghi
della villeggiatura marina: Barbariga, Valcadena di Brioni, Medolin, Villa
Manerini e Fasana, col bar Marinich (p. 64). Le famiglie ci arrivavano con l’automobile,
una Bianchi S 9.
Dignano d'Istria, pozzo di Casa Derocchi, con l'autore nel 2010. Fotografia di proprietà di Armando Delzotto
I resoconti della vita scolastica sono intervallati dalle
punizioni del maestro Franzitta (p. 84). C’è il treno delle Tabacchine, che
portava da Dignano e da altri paesi limitrofi le donne a lavorare alla
Manifattura Tabacchi di Pola (p. 86). Il brano più esilarante riguarda la scena
dello scolaro Menighetto Groppuzzo, bisognoso del gabinetto. Tirato un calcio
alla porta dei servizi igienici, si liberò dei suoi liquidi in eccesso, ma si
ritrovò a bagnare copiosamente i pantaloni del professor Stefanacci. Resosi conto
del gesto malsano Menighetto corse in classe gridando disperatamente: “Gò pissà
su le braghe de Stefanacci!” (p. 88). Superata la prima liceo a Pola, il nostro
autore, a diciassette anni, prese la via dell’esodo con la famiglia, come si è
detto.
Tessera del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara, firmata dall’architetto Carlo Conighi, presidente della sede provinciale di Udine, 1948-1952. Collezione Helga Conighi, Udine
Prima del fascismo, lo zio e il babbo in bottega parlavano in italiano e con i
contadini croati, anche in dialetto locale. Dopo il fascismo, ci fu l’imposizione
della lingua italiana e il divieto di parlare slavo. Nel negozio collaboravano
cinque garzoni, nel 1933, ma i rapporti con i clienti croati del contado si
guastarono, perché essi erano troppo orgogliosi di parlare solo nel loro
dialetto (p. 103). Tra i ricordi di vita paesana affiorano il gelataio Guerrino,
di fronte alla Chiesa del Carmine, la banda musicale, la vendemmia e l’olio
venduto alla borsa nera (p. 106).
Dopo l’8 settembre alle porte di Dignano si verifica una vera
e propria battaglia tra partigiani titini e truppe tedesche. In quel frangente,
spiega Delzotto, i “fascisti piuttosto cattivelli” si rifugiano da parenti,
togliendosi la camicia nera e chiedendo piangenti degli abiti borghesi. Le case
di Dignano vengono visitate dai partigiani titini che vogliono ammazzare
fascisti e italiani, mentre i tedeschi entrano in casa con armi spianate
cercando partigiani, fino in soffitta. Ecco il motivo delle prime fughe dall’Istria
(p. 111).
Il libro di Delzotto si chiude con una descrizione dei giochi
popolari, come il pindolo, le s-cinche
(palline di vetro), il surlo (cono di
legno) da roteare e le laure, pietre
piatte, da utilizzare come nel gioco delle bocce (pp. 124-125). Le ultime
pagine sono dedicate alla villeggiatura montana e agli amori giovanili.
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Armando Delzotto, I
miei ricordi di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), Udine, Edizioni
del Sale, 2012, pagg. 160.
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Note dal web
Antonio Toffetti, nato in “Contrada dell’asedo” a Dignano d'Istria nel
1936, che vive Trieste, dopo aver letto questa recensione al libro di Delzotto diffusa nel
gruppo di Facebook “Esodo istriano per non dimenticare”, il giorno 18 settembre
2018, ha scritto: “Anche mi in quel stesso periodo, iero picio, ma me ricordo
ben, in strada qualche moredo me ga dito che anche mi finirò in foiba. Poco
dopo semo vignui a Trieste in treno”.
Cartolina di Dignano nei primi anni del '900. Editore Alois Beer di Klagenfurt. Ripresa da Facebook
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Cenno sitologico sui
giochi popolari
E. Varutti, “Balas e Zogo del corno. Continuitât e diferencis suntun zûc fat dai tiessidôrs cjargnei e di chei istrians”, «Sot la Nape»,
luglio 2010. Disponibile anche nel web.
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Servizio redazionale e di Networking a cura di Tulia Hannah
Tiervo e Sebastiano Pio Zucchiatti. Recensione di E. Varutti. Fotografie
riprese dal volume di Armando Delzotto, da collezioni private citate
nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia
Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo
Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203. Presidente dell’ANVGD di
Udine è Bruna Zuccolin.
La copertina del libro di Armando Delzotto, del 2012
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