Oggi è Oświęcim, in lingua polacca. Il toponimo tedesco
invece è: Auschwitz. Quella che stiamo facendo è una visita turistica oppure un pellegrinaggio? A giudicare
dagli occhi arrossati per l’emozione dei visitatori accanto a me, è proprio un
cammino di pellegrini alle strutture praticamente intatte o appena restaurate
del grande campo di concentramento nazista.
È il 12 aprile 2017. Siamo un gruppo di turisti italiani di
Boscolo Tour. Passiamo dal cancello con la scritta in tedesco Arbeit macht frei (Il lavoro rende
liberi) voluta dall’insolente comandante nazista Rudolf Höss. Molti di noi l’hanno vista nei libri di storia, oppure
sui giornali. Adesso è lì e, varcata la soglia del grande campo di concentramento,
si entra nella zona museale. In alcuni posti non si possono fare fotografie,
per rispetto dei defunti. Si sente il tic-toc delle scarpe dei visitatori sulla
strada. Anzi siccome l’hanno lasciata come era, cioè tipo strada bianca, con sassolini,
si sente il cric-croc delle centinaia di scarpe delle persone in visita. Le persone passano
mute.
Solo la guida turistica rompe il silenzio spettrale che
avvolge il campo di concentramento. Tira un vento forte. È nuvolo. Ogni tanto si rasserena. Il freddo
inaspettato ti entra nelle ossa.
Barattoli di gas Zyklon B, usato nelle camere a gas dai nazisti per uccidere ebrei e altri detenuti del campo di concentramento di Auschwitz
Dal 1947 la zona è dichiarata museo polacco. Per tale motivo
le costruzioni e gli interni sono rimasti come li hanno trovati i russi nel
1945, quando cacciarono i tedeschi verso l'interno della Germania.
Tra i visitatori, ho visto tanta gente, tanti giovani, col
magone dentro. Si ha questo atteggiamento difronte alla bestialità nazista nell’uccidere
razionalmente i prigionieri, nell’annientarli, nell’organizzare degli efficienti
gruppi di controllo composti dagli stessi imprigionati.
In origine gli edifici del campo di Auschwitz erano una
caserma polacca. Poi, nel 1940, furono adattati dai tedeschi e, soprattutto, recintati
col filo spinato, la corrente elettrica e le torrette di avvistamento con
sentinelle armate per impedire la fuga dei prigionieri.
Il campo di sterminio era articolato in tre strutture
principali e, addirittura, in una quarantina di campi satellite. Con la stupefacente
fantasia nazista quello di Auschwitz era detto: Auschwitz I. A tre chilometri
dalla cittadina di Oświęcim, gli ordinati soldati del Reich sloggiano gli
abitanti polacchi di una ventina di fattorie. Le radono al suolo e, con i
mattoni recuperati, fanno costruire in fretta e furia le baracche del
gigantesco campo di sterminio di Birkenau, con sette camere a gas
ed ampi forni crematori.
L'ingresso di una delle camere a gas di Auschwitz con visitatori italiani
Sempre con la imprevedibile fantasia nazista questo altro
campo di concentramento è detto: Auschwitz II. Fanno arrivare persino i binari
dentro il campo della morte di Birkenau, di modo che gli internati potessero
arrivare direttamente nel luogo dell’uccisione, scendendo dai vagoni bestiame
piombati. Se qualcuno moriva durante il viaggio, i più deboli, i malati, i
bambini, gli altri viaggiatori detenuti dovevano tenersi la salma fino al campo
di concentramento.
La fantasia nazista non ha limiti e, nel 1943, a Monowitz
erigono un altro campo di concentramento e lo chiamano: Auschwitz III.
Interno di un campo di sterminio, gli uffici
Oggi è Oświęcim, scrivevo. Con tale denominazione la
cittadina di Auschwitz, di 40 mila abitanti, distante 70 km da Cracovia, rimane nella storia quale
simbolo mondiale dello sterminio perpetrato dai nazisti nei confronti degli
ebrei. È la più innegabile testimonianza della Shoah.
Vedere in una vetrina
dell’area museale i barattoli del gas Zyklon B, usato per lo sterminio di massa
degli ebrei, non fa male solo alla persona in visita, ma provoca dolore all’intera
umanità.
Questi territori polacchi vengono annessi al Terzo Reich, dopo
l’invasione della Polonia nel 1939, con la dizione di Governatorato Generale. Qui
viene allocato, sin dal 1940, dagli obbedienti seguaci di Hitler il più grande
campo di concentramento e di sterminio, mediante le camere a gas e i forni
crematori. Dapprima vengono rinchiusi gli intellettuali polacchi, poi i prigionieri
di altre 28 nazionalità. Soprattutto vengono concentrati qui gli ebrei polacchi
e poi gli ebrei europei, per quella che, dopo la conferenza nazista del 1942,
viene definita “la soluzione finale”, ossia l’uccisione di tutti gli ebrei, nota come protocollo di Wannsee, del 20 gennaio 1942.
Le ceneri delle vittime della Shoah trasformate in monumento ad Auschwitz
Si tenga presente che il popolo polacco era ritenuto dai
nazisti come Untermensch, cioè
sub-umano. Dovevano essi morire, non riprodursi o fare da schiavi ai tedeschi.
Nelle enciclopedie si legge che “durante l'invasione della
Polonia del 1939, vengono utilizzate speciali squadre di azione delle Waffen SS e della polizia (i reparti Einsatzgruppen)”. Hanno essi il compito
di arrestare o eliminare i civili istruiti che fanno una qualsiasi resistenza
ai tedeschi o che siano considerati in grado di farlo, secondo il loro status o
la posizione sociale. Decine di migliaia di ricchi proprietari, uomini di
chiesa e membri dell’intellighenzia o ufficiali del governo, insegnanti,
dottori, dentisti, giornalisti e altri (sia polacchi, che ebrei) furono
assassinati in esecuzioni di massa o inviati in campi di prigionia e
concentramento.
Le unità tedesche e le forze di autodifesa composte dal Volksdeutsche parteciparono anche alle
esecuzioni dei civili. In molti casi, queste esecuzioni furono atti di
rivendicazione contro intere comunità responsabili di avere ucciso dei tedeschi.
Dal 1979 questo sito è divenuto parte del Patrimonio dell’Umanità
dell’UNESCO. Voluto da Heinrich Himmler, il campo di concentramento di
Auschwitz era comandato da Rudolf Höss. Qui muoiono,
secondo stime ufficiali, un milione e mezzo di persone internate. Lui, dopo il processo, finisce qui impiccato nel 1947.
È struggente l’accatastamento di scarpe prelevate ai detenuti
e, oggi, messe lì in mostra, con in primo piano le scarpine di un bambino. Poi ci
sono le scodelle, le caffettiere, i bicchieri, i rasoi, le forbici, tutto ciò
che i prigionieri si erano portati dietro, credendo che potesse loro servire. Per
i nazisti era bottino di guerra. Roba da rivendere per far soldi.
Spero che questo reportage sull’inferno creato dai nazisti
per uccidere gli ebrei possa servire a qualcuno in cerca di un po’ di umanità.
Bibliografia
Michele Lauro, Polonia.
Varsavia, Lublino, Cracovia, Breslavia, Toruʼn, Danzica, La Masuria e i
grandi Parchi,
Milano, Touring, 2014.
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Servizio giornalistico, fotografico e di networking di Elio
Varutti
I pali della tortura, per chi non obbediva
Scarpe di bambino in un mucchio di scarpe di adulti
Altri link di miei articoli nel web:
- E. Varutti, Visitare Varsavia, 2017.
- E. Varutti, Gita a Cracovia, 2017.
- E. Varutti, Birkenau, visita al campo di sterminio, 2017.
Suggerimento di lettura
Miriam Rebhun, Ho
inciampato e non mi sono fatta male. Haifa, Napoli, Berlino. Una storia
familiare, Soveria Mannelli (CZ), L’Ancora del Mediterraneo, 2011.
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