I racconti dell’esodo istriano
paiono tutti uguali. C’è la violenza dei miliziani di Tito. Ci sono poi la fuga
degli italiani dall’Istria, sotto la pressione dei titini, il passaggio da un
Campo Profughi e tanto lavoro per ricominciare daccapo. Il tutto nel dolore
della tragedia vissuta dai protagonisti, nella fredda accoglienza riservata dal
resto d’Italia e nelle scarne informazioni riferite dalle nonne “perché xe
tanto dolor”. C’è un dato nuovo, tuttavia. La generazione dei discendenti degli esuli
vuole parlare, vuole riferire la storia della propria famiglia, con la
consapevolezza che anche queste vicende siano storia dell’Italia.
Trieste quando apparteneva all'Austria, 1910. Il Municipio. Stabilimento editore Milan Mandich Trieste.
Collezione Amalia Rassmann, esule fiumana a Udine
Quella che sto per descrivere è
una storia di guerra civile, di foibe, di cialtroneria partigiana, di
sfruttamento minorile uso portaordini militari, ma anche di umanità dentro la
guerra.
«I miei parenti son venuti via
da Bertocchi, vicino a Capodistria, nel 1945 alla volta di Trieste – esordisce
così il racconto di Diego Babudri, nato a Trieste nel 1959 – mio nonno era
stato ucciso e probabilmente gettato in una foiba e la casa saccheggiata».
Sono passati per un Campo
Profughi?
«Mia nonna, che era Maria
Pehar – prosegue la testimonianza – con la famiglia passa una decina di
giorni nel Campo del Silos, poi con gli aiuti per i profughi si sistema a
Trieste, iniziando a lavorare».
Posso chiederle come si chiamava
il nonno e come fu la vicenda della foiba?
«Mio nonno era Antonio
Babudri, nato ai primi del ‘900 da un’antica famiglia tedesca, i Babuder di
Trieste, poi il cognome venne italianizzato – spiega il signor Babudri –
nonno Antonio era andato a lavorare e a sposarsi a Capodistria, nel paese di
Bertocchi, in seguito alla crisi del 1929».
Bertocchi, la chiesa. Comune di Capodistria.
Fotografia ripresa da Internet
Che mestiere faceva e perché fu
imprigionato dai titini? Cosa fecero gli altri familiari?
«Faceva il colono, lavorava
bene a Bertocchi e consegnava regolarmente i prodotti al padrone – continua
così la vicenda familiare – poi nel giugno 1944 è sparito. Ci hanno sempre
detto che è stato infoibato. La nonna Pehar ed altri familiari sono stati
imprigionati e deportati per sottoporli ad un processo dai partigiani di Tito,
con l’accusa di collaborazionismo».
Trieste, Via Cesare Battisiti in una deliziosa cartolina a colori del 1942. Editore A. Cadel Trieste. Collezione famiglia ingegnere Carlo Conighi, esuli fiumani a Udine
Ricorda cosa successe in seguito?
«Dopo il processo sono state
scagionate – risponde Babudri – la cosa incredibile è che gli stessi
partigiani sapevano bene che ad uccidere nonno Antonio nella foiba erano stati
due loro compagni, che avevano sbagliato, dissero, insomma i miei avi non erano più
collaborazionisti, così proposero a mia nonna di vendicarsi sui due aguzzini del nonno e
le dissero: Ti diamo il mitra, ammazzali tu».
Beh, non ho mai ascoltato una
storia così complessa, così triste, così intrisa di vendetta balcanica, così
scarsa di umanità. Proprio dal 2011 c’è chi si interroga ed opera su temi come
l’Umanità dentro la guerra. Sua nonna Maria cosa fece?
«Mia nonna si è rifiutata di
fare questa cosa – riferisce Diego Babudri – non parlava mai di questi
fatti, li abbiamo saputi a pezzi, non voleva parlare per il grande dolore che
provava, così oggi noi sappiamo ben poco. Soffriva in silenzio da esule».
Ci sono altri fatti che vuole
dire? Dato che il racconto è abbastanza circostanziato, c’è qualcuno che ha
fatto delle ricerche?
«Mio padre era Sergio Babudri,
nato nel 1934 a Capodistria – conclude il testimone – e fece alcune
ricerche sulle vicende familiari. Si pensi che egli, bambino di 10-11 ani, fu
usato per molto tempo dai partigiani come staffetta, suo malgrado. Gli cucivano
i biglietti del messaggi nel cappotto, poi doveva andare con due donne
partigiane da Capodistria fino a Gorizia. Un giorno riuscì a scappare e si
rifugiò da certi parenti e poi si ricongiunse alla famiglia».
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Trieste,
Via Nizza in una cartolina in bianco e nero del 1942.
Editore Adriano Cadel, Trieste, Via Gallina 1/I.
Collezione E. Varutti, Udine
RINGRAZIAMENTI - Ringrazio per questa
testimonianza il signor Diego Babudri (Trieste 1959), da me intervistato al
telefono il 12 maggio 2016. Ha collaborato per la buona riuscita della ricerca
la studentessa Ludovica Babudri, della classe 5^ A Sala e vendita dell’Istituto
Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine, sotto la guida della
professoressa Sabrina Marangone, insegnante di Storia. L’attività didattica è
stata condotta con il Laboratorio di Storia della scuola, di cui è coordinatore
il professor Giancarlo Martina, mentre Anna Maria Zilli ne è il Dirigente
scolastico.
Altri dati della ricerca
storico-biografica: il padre dell’intervistato, Sergio Babudri, nato a
Capodistria nel 1934, è mancato a Trieste il 20 agosto 2014.
Da una indagine in Internet, si
sa che altre famiglie istriane dei Babudri, per emigrazione in vari periodi, sono stanziate a Bari,
Roma, Padova, Verona e a Varese, mentre certi nuclei familiari Babuder operano
ancor oggi nell’imprenditoria dell’Istria, in Slovenia.
Poi, come in tutte le guerre civili, c'è un tale Romano Babuder, di Trieste, partigiano titino della Terza brigata "Prekomorske Brigade" (Brigata d'Oltremare) che morì in combattimento a Mostar il 14 febbraio 1945, come ha scritto: Federico Vincenti, Partigiani friulani e giuliani all'estero, Udine, ANPI, 2005, pag. 128, nota 27.
Poi, come in tutte le guerre civili, c'è un tale Romano Babuder, di Trieste, partigiano titino della Terza brigata "Prekomorske Brigade" (Brigata d'Oltremare) che morì in combattimento a Mostar il 14 febbraio 1945, come ha scritto: Federico Vincenti, Partigiani friulani e giuliani all'estero, Udine, ANPI, 2005, pag. 128, nota 27.
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Questo articolo rientra
nelle attività del Centro
di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata,
per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari
momenti storici.
Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di
storia dell’Istituto
Stringher di Udine, di cui è
referente il professor Giancarlo Martina.
È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie
di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio
di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana,
ANED,
ANVGD di Udine.
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APPENDICE
Materiali grigi della scuola - anno scolastico 2015-2016 Istituto "B. Stringher" Udine
Intervista sull'esodo giuliano dalmata
Domande per gli esuli o discendenti degli esuli
1. Quando siete /sono venuti via dall’Istria?
2. Da dove?
3. Perché?
4. Siete / Sono passati dal Campo Profughi di Trieste, di
Udine, o di dove?
5. Conoscete il fenomeno delle foibe?
6. Avete fotografie o documenti del tempo da fotografare per
le ricerche scolastiche?
7. Commenti e altri ricordi vari sull'esodo...
8. Conoscete altri esuli giuliano dalmati interessati a parlare della loro esperienza?
8. Conoscete altri esuli giuliano dalmati interessati a parlare della loro esperienza?
9. Nome e cognome dell'intervistata /o, anno e luogo di nascita, residenza (nonna/o, parente o zia/o dell'allieva/o)
10. Nome cognome dell'allieva/o, classe frequentata e data
dell'intervista, insegnante di Storia che ha curato la distribuzione del questionario
A cura del Laboratorio di Storia.
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