L’artista Franca Venuti ha ricreato con maestria la casa
contadina della Val Canale in “Shadow Boxes”, o quadri nello spazio, detti anche
“diorami”. La Venuti usa una tecnica costruttiva basata su materiali riciclati
o di sfrido, in formato “mignon”.
Franca Venuti, La Stube, diorama, materiali vari, 2015.
Fotografia di Claudio Saccari.
Rivivono così le antiche case della Val Canale
nel Museo Etnografico “Palazzo Veneziano” di Malborghetto, in provincia di Udine, con tanto di pupazzi dalle forme umane. Quello che sto recensendo è il
catalogo della mostra su detto tema apertasi nel mese di dicembre 2015 e in
funzione nel 2016 in tale Museo.
L’autrice riesce così a riprodurre nelle sue opere artistico
artigianali in miniatura le antiche atmosfere, pregne di suggestioni del
passato. C’è una grande attenzione alla storia, alle tradizioni, alla cultura e
alla vita familiare negli ambienti casalinghi di una volta. Secondo il mio
parere c’è un po’ di antropologia culturale in questa originale esperienza
creativa.
L’artista impiega e sa lavorare la pasta di farina e sale, la
ceramica, il legno e i tessuti. Appassionata di antiquariato friulano e di
restauro, ha saputo unire le sue competenze acquisite con l’esperienza alle sue
capacità artistiche nel costruire gli interni delle abitazioni avite di
Malborghetto e dintorni.
C’è una assoluta attenzione al dettaglio per i pezzi
costitutivi dei vani casalinghi in formato ridotto per i visitatori. Sono stati
fabbricati i mobili tipici, le figure, il vasellame, le cibarie e ogni utensile
casalingo.
Nell’atrio, o vano d’ingresso, si notano il tavolo da
falegname per i lavori “da uomini” (come si dice nel mondo tedesco). Non si
dimentichi che nella Val Canale (Kanaltal, in tedesco) si parlano quattro lingue (l’italiano, il
tedesco, lo sloveno e il friulano) con tanto di riconoscimento della legge
nazionale n. 482 del 1999. Del resto, queste zone erano del Vescovado di
Bamberga (Germania) e il confine con la Slovenia non è distante.
Franca Venuti, L'atrio, diorama, materiali vari, 2015.
Fotografia di Claudio Saccari.
C’è una donna che lava i panni nell’atrio riprodotto dalla
Venuti. È la prima stanza di questo viaggio virtuale nella casa avita della
Val Canale. Era una stanza ad uso promiscuo, insomma, se necessario diveniva
officina, calzoleria o genericamente ripostiglio-deposito. Aveva tanti nomi
nelle varianti linguistiche delle vallate.
La cernita delle varietà
linguistiche svolta per il volume e la mostra hanno un alto valore scientifico. Mi
soffermerò solo sull’atrio nelle varie parlate. Non potrò trattare così tutte
le stanze recensite qui. Era detto “Uéjža” nello
sloveno di Ugovizza. L’atrio, invece, nello sloveno di Valbruna è “Ueža”. Nel tedesco della Val Canale diventa “Lab’n”, oppure “der
Vorhof”.
Si pensi alla ricchezza lessicale di questi luoghi!
Dall’atrio si accedeva ad altri vani dell’abitazione rurale: la cucina nera, la
Stube, la camera e Die Speis (dispensa, o camarin, in friulano).
Era detta “cucina nera” la stanza utilizzata principalmente
per l’affumicatura dei prodotti suini mediante il focolare, “fogolâr” in friulano. In tedesco era la: “Schwarze Küche”. Nello sloveno di Ugovizza: “Črna kuhinja / kuhnja”.
Nella fine dell’Ottocento per fare fuoco (fûc) arriva lo Spolert, o cucina economica, che migliorerà la qualità della vita e
del lavoro casalingo, con l’introduzione delle pentole basse per cucinare.
Franca Venuti, La cucina nera, diorama, materiali vari, 2015.
Fotografia di Claudio Saccari.
Non poteva mancare nella “Stube” la grande stufa in maiolica,
che riscaldava in modo continuo in base ad un sistema di condutture a mattoni
refrattari. Documentate sin dal 1652 nella Val Canale, queste stanze erano il
punto nobile della casa, oggi diremmo: il soggiorno. Qui si svolgeva la vita
della famiglia.
Poi c’era la dispensa, ossia la cassaforte o frigorifero
della famiglia patriarcale, le cui chiavi erano tenute dalla padrona di casa.
Non a caso in friulano la moglie è detta “parone” (padrona). Poi ci sono le
camere, il gabinetto (che era proprio una stretta cabina di abete, con un
sedile dotato di un buco – l’antesignano del water!) e la stalla per gli
animali.
Il volume si chiude con un breve brano di Raimondo Domenig,
intitolato: “La dote delle case”. Nel volume, infine, si notano una bibliografia
e una sitologia orientate al tema. Le belle fotografie dei capolavori di Franca
Venuti Caronna, sono opera di Claudio Saccari, di Trieste.
Molto curioso e, per qualcuno, inesplicabile è il titolo del
catalogo: La N. 1. Likof per la casa contadina della Valcanale. È presto detto. È stata qui
esaminata, studiata e riprodotta la prima casa del paese montano, appunto “la
numero 1”. Il “licȏf” (anche in lingua friulana) era o
è (poiché si usa tuttora) il brindisi o banchetto offerto dal proprietario alla
fine di una grande affare e, per estensione, al termine della costruzione del
tetto di una nuova costruzione. Sin dalla copertina si celebra il “licȏf” della nuova produzione in diorama.
“Ocjo, che al è un licȏf virtuȃl...” (Attenzione che è un “brindisi” virtuale…).
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Lara Magri (a cura di), La
N. 1. Likof per la casa contadina della Valcanale, Museo Etnografico
“Palazzo Veneziano”, Malborghetto – Valbruna (UD), Comunità Montana del
Gemonese, Canal del Ferro e Valcanale, 2015, p. 48.
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