Le storie dell’esodo degli
italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia hanno sempre un fatto scatenante
grave o tragico. Talvolta è un insieme di fattori a far fuggire i civili “di
sentimenti italiani”. C’era l’azione della pulizia etnica voluta da Tito. C’era
la vendetta contro i torti subiti dagli slavi sotto il fascismo. C’era chi si
approfittava e, per vecchi rancori, faceva la spia a pagamento mandando in
galera o, peggio, a morire persone innocenti. C’era, infine, lo scontro delle
classi sociali secondo cui i diseredati volevano tutto ciò che possedevano gli
abbienti, come ricorda il professor Umberto Sereni, docente di Storia
contemporanea all’Università di Udine. E se lo presero con le armi in pugno,
ammazzando l’italiano che si opponeva, chi voleva tenersi l’orologio, il
portafoglio, la bicicletta, la casa a Fiume, in Istria e in Dalmazia.
Certamente trovarsi con le spalle
al muro davanti a un gruppo di partigiani che stanno puntando i fucili per
uccidere fu una spinta terribile alla fuga. È il caso della presente
testimonianza. Andar via da Fiume a causa dei partigiani titini.
Fiume, 1930-1940 - Chiesa dei Padri Cappuccini
«La mia famiglia ed io siamo scappati da Fiume alla fine del 1944 per
la paura dei partigiani di Tito che hanno preso mio padre a Tersatto, dove era
andato a insegnare alla scuola elementare per prendere le famose Mille lire al mese». Esordisce così Fabiola Laura Modesto Paulon, nata a Fiume nel 1928,
nella sua testimonianza che è una parte della storia d’Italia. I partigiani
titini combattono per la libertà e contro i soprusi del fascismo. Perché se la
prendono con la sua famiglia? Forse suo padre era militare?
«No mio padre, che si chiamava Sante, nato nel 1890, era maestro
elementare – risponde la signora Fabiola Modesto – abitavamo a Fiume, ma lui dal 1942 lavorava a Tersatto, poco sopra
la città e lassù i partigiani lo presero e lo misero al muro per fucilarlo, ma
fu salvato dal papà di un suo alunno».
Attestato di nascita di Fabiola Laura Modesto, nata nel 1928, rilasciato nel 1934. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
Quanti eravate in famiglia a
Fiume e dove vi ha portato il vostro esodo?
«Si scappò in sei. La mia famiglia era composta da quattro figli, oltre
ai genitori. Mia madre era Teresa Zuccari, della provincia di Macerata,
trasferitasi a Fiume nel 1922 per lavoro, con la sorella gemella, entrambe
insegnanti. Pure mio padre, originario di Majano, in provincia di Udine, dopo
aver fatto la guerra di Libia e la Prima guerra mondiale, era stato chiamato ad
insegnare nel 1922 nella città del Carnaro. Nel 1923 Sante Modesto si sposa con
Teresa Zuccari e, a Fiume nel 1924, nasce mio fratello Vito, divenuto
cancelliere del Consolato italiano a Sidney, mancato nel 2009, nel 1928 arrivo
io, poi mie sorelle, Lucilla che è del 1930 e Fides del 1936, che oggi vivono
con le rispettive famiglie in Lombardia. Allora l’esodo ci ha sparpagliati in
Australia, a Varese, a Milano e a Majano, dove avevamo parenti».
Ricorda qualche cosa della vita a
Fiume?
«Fiume era una città ricca, multietnica e tollerante fino all’inizio
della guerra – dice Fabiola Modesto –
pensi che l’80 per cento dei commercianti era di religione ebraica, le mie
compagne di scuola erano cattoliche, turche, ebree e protestanti, ma la nostra
educazione si basava sulla convivenza e il rispetto reciproco. Fiume era una
città europea e d’estate durante le vacanze per fare i bagni andavamo in
vaporetto a Laurana, Abbazia, dove la famiglia affittava un appartamento. Mio
padre prima della guerra, oltre che alle scuole elementari, insegnava nelle
carceri e ai carabinieri, tanto che è stato nominato cavaliere».
Lo stemma di Fiume incorniciato ed appeso nella casa dell'esilio; è così per molti fiumani. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
La guerra fascista sconvolse
tutto?
«La guerra portò a sfollamenti, bombardamenti, sparizioni, uccisioni,
tragedie ed esodo, io ho abitato a Fiume in Via Trieste, vicino ai salesiani e
dal 1934 in Via Milano, vicino all’Arcivescovado e alla Chiesa dei Cappuccini –
continua la testimonianza – ricordo
che a Fiume una mia compagna di ginnasio aveva il padre autista di ambulanze,
siccome i partigiani titini volevano sequestragli il veicolo lui si rifiutò e
lo uccisero, poi un nostro vicino di casa era ufficiale di Marina e sparì, la
famiglia andò a cercare in ogni dove, ma non si è saputo nulla di lui».
Gianni Paulon, a destra, con un commilitone a Bolzano nel 1927. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
Ha qualche altro ricordo curioso
della Fiume degli anni Trenta?
«Sì, per San Nicolò – aggiunge Fabiola Modesto – ogni bambino delle classi prima, seconda e terza elementare aveva un
regalino sul banco, poi arrivava proprio lui San Nicolò, con la lunga barba
bianca, il bastone, la tiara, attorniato di diavoletti e angioletti. San Nicolò
diceva certe frasi ad ogni bimbo, per essere buoni. Mi ricordo che lui sapeva
certi fatti miei e non capivo chi glieli avesse raccontati, poi da grande ho
scoperto che era proprio mio padre a travestirsi da San Nicolò».
Ha altri fatti sulla guerra e
sull’esodo fiumano da riferire?
«A Fiume eravamo abituati agli sfollamenti – continua la testimone – dato che nel 1941 ci hanno sfollato e noi
siamo andati da parenti a Luino e Varese per due mesi, inoltre altri due mesi
li abbiamo passati a Como presso amici, in aggiunta Fiume aveva cantieri navali
e il silurificio, così nel 1943 e 1944 iniziarono dei forti bombardamenti
anglo-americani e mia mamma ed io siamo stati evacuati a Como, presso amici e
una parte della famiglia si rifugiò a Majano da parenti, anche per la pressione
dei partigiani».
Podgorac 1930 - Gianni Paulon emigrato in Serbia per lavorare nel settore edile. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
Ricorda qualche cosa della sua
permanenza da sfollata a Majano nel 1945 fino al termine del conflitto?
«Ricordo che mio fratello Vito era stato richiamato in Marina, nella X
MAS a Trieste – conclude Fabiola Laura Modesto – e un giorno, siccome era in licenza, venne in treno fino a Udine, in
tram fino a San Daniele e in corriera fino a Majano, dove mi trovavo io con i
parenti. Lo zio fu avvertito dai partigiani friulani che se Vito non se ne
fosse andato via entro due ore lo avrebbero ucciso. Non abbiamo mai saputo come
i partigiani avessero saputo che arrivava mio fratello da Trieste. Allora
l’abbiamo messo su un carretto, nascosto con dei teli e erba sopra e l’abbiamo
portato fino a Fagagna dove si prese il tram fino a Udine e ritornò a Trieste
in treno. In quei mesi andavo a scuola al liceo “Marinelli” di Udine, dove
insegnava il professor Guerrino Brussich di Fiume. Nel 1945 conobbi Gianni
Paulon, titolare di un negozio di tessuti e mercerie a Majano. Ci siamo
innamorati. Ho fatto l’esame di maestra, per avere un ‘pezzo di carta’, dato
che col liceo non c’era speranza di lavoro. Poi ci siamo sposati il 16 dicembre
1946. Abbiamo avuto due figli e io mi sono sempre impegnata nell’attività del
negozio e nel settore del commercio, anche dopo il terremoto del 1976, quando
abbiamo perso tutto».
Fabiola Modesto, Fiume 1938. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
Scommetto che ci sono altri fatti
da raccontare…
«Eh, sì – aggiunge Fabiola Laura Modesto – tra il 1943 e il 1944 a
Fiume giungevano tanti soldati italiani di rientro dai Balcani, con la paura di
essere imprigionati e spediti ai campi di concentramento dei tedeschi. Suonavano
alle case, anche a casa mia e chiedevano di avere dei vestiti civili per non
essere individuati. Ricordo un giovane tenente con un cucciolo di cane lupo si
presentò a mia madre che lo aiutò con del vecchi abiti e lui ci regalò il
lupetto, chiamato Dichi, ma mio padre non volle farcelo tenere per via degli
alimenti scarsi che avevamo con la tessera e cosa poteva mangiare quel povero
cucciolo, così lo portò in certi posti dove lo potevano tenere, ma lui dopo due
giorni si presentò a casa nostra».
E degli amici del borgo che cosa
ricorda?
«Il vescovo di Fiume – racconta ancora la testimone –monsignor Ugo Camozzo aveva organizzato
per le giovani in vescovado il gruppo delle “Agnesine”, da Santa Agnese e per i
maschi c’era il gruppo dei “Tarcisiani”, da San Tarcisio. Oltre alle preghiere,
facevamo teatro e abbiamo tanto giocato nel giardino del vescovo. Mi ricordo
poi che in casa avevamo una Tata istriana che dopo aver dato la cera sui
pavimenti lucidava con uno spazzolone e mio fratello ed io salivamo sullo
spazzolone e lei ci tirava per la casa, ci divertivamo con cose semplici una
volta… era così».
Una versione ridotta della storia raccontata da Fabiola
Laura Modesto è apparsa su info.fvg.it col titolo: “Via da Fiume, causa partigiani, 1944” il 14 aprile 2016.
Gianni Paulon nel 1940. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
- Scappare da Pisino d’Istria
Quando si avvicina il 10 febbraio
per il mondo degli esuli istriani e dei loro discendenti scatta qualche cosa
dentro il cuore. Il 10 febbraio per Legge n. 92 del 30 marzo 2004 è stabilito
come Giorno del Ricordo. La data è quella della firma del Trattato di
pace a Parigi il 10 febbraio 1947. Con la legge del 2004 si vuole diffondere la
conoscenza dei tragici eventi, che nel secondo dopoguerra colpirono gli
italiani vittime delle foibe e gli esuli istriani, fiumani e dalmati,
preservando le tradizioni delle comunità istriano-dalmate.
I discendenti degli esuli e loro
stessi, anche se molto anziani e, talvolta, un po’ malandati, desiderano
parlare e raccontare la propria storia. Quella taciuta fino ad ora, per paura
di non essere creduti, di essere tacciati di fascismo o per altre “cattiverie
contro de noi”.
Majano 1946, Fabiola Modesto nella foto per il "moroso". Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
«Mio papà era l’ingegnere
Camillo Maracchi – racconta il signor Costantino Maracchi – lavorava in
Municipio e poi fu comandante dei pompieri di Pisino d’Istria, che aiutarono
quelli di Pola, comandati dal maresciallo Arnaldo Harzarich, a esumare le salme
degli uccisi nelle foibe dal 1943».
Quando siete fuggiti?
«Siamo venuti via nel 1947 – risponde
il signor Maracchi – siamo passati per il Centro di Smistamento Profughi (CSP) di Udine, quello in Via Pradamano e poi siamo andati a Belluno».
Un’altra vicenda da Pisino, dove
l’imposizione della sola lingua croata nelle istituzioni scolastiche diventa
motivo di esodo degli italiani rimasti nel dopo guerra.
«Siamo scappati da Pisino nel
1948 – dice Maria Cliselli – quando i croati ci chiudono le scuole
italiane di Pisino. Come si faceva senza scuole di lingua italiana? Ci hanno
detto: ‘O il croato, o andate dove volete!’».
Allora scappano molti italiani?
«No, per alcuni di noi ci
furono le scuole italiane di Rovigno – conclude la signora Cliselli – e pensare
che dal liceo di Pisino è uscito un personaggio come il professor Dalla
Piccola, nato a Pisino e famoso per la musica dodecafonica. Suo padre era stato
preside del liceo di Pisino. Erano di origine trentina e andarono profughi a
Firenze, dove il professore morì».
Majano 3 agosto 1946, braida con vigne dove oggi c'è la fabbrica Snaidero, Fabiola Modesto e Gianni Paulon appena fidanzati.
Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
2. Udine accoglie i profughi istriani e
dalmati
A Udine ci sono stati per i
profughi istriani e dalmati vari punti di accoglienza. Sin dal 1944 poco fuori della
città, nella zona nord ovest, come scrive in un memoriale Danila Bardotti, nata
a Fontanabona di Pagnacco nel 1928: «A jerin lis sfoladis di Pola che a vivevin
tes barachis a Felet di Tavagnà (c’erano le sfollate di Pola che vivevano nelle
baracche di Feletto Umberto, frazione di Tavagnacco)».
Un altro insediamento in baracche
per i primi sfollati dell’Istria nel 1944-1945 si trova a Udine nel borgo di
San Rocco, secondo gli appunti di Giorgio Stella, nella zona sud ovest.
Il 3 settembre 1945 monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di Udine,
nominò in qualità di presidente della Pontificia Commissione Assistenza,
sezione di Udine, don Abramo Freschi. Dagli atti e comunicazioni arcivescovili
del 1946, si sa che il sostegno ai profughi giuliano dalmati è di competenza
della Pontificia Commissione Assistenza. Vedi:
«Rivista Diocesana Udinese», settembre – ottobre, 1946, p. 105.
Baraccopoli di San Rocco a Udine. Era dietro la chiesa di San Rocco, tra via San Rocco e Via Vincenzo Joppi. Costruita dopo la Grande guerra in seguito al 1917 quando ci fu l'esplosione della polveriera di Sant'Osvaldo. Nel 1944 ospitò i primi profughi istriani dell'esodo giuliano dalmata. Udine, Istituto Geografico Visceglia, Roma Milano, verso il 1948-9. Proprietà della mappa: Tipografia Marioni, Udine. Fotografie di Elio Varutti
La prima grossa forma di
accoglienza riservata agli esuli istriani dalle competenti autorità di Udine,
dal 9 maggio 1945 al 1947, fu allestita presso la vecchia scuola “Dante
Alighieri” di via Gorizia, più precisamente in via Monte Sei Busi, nelle
vicinanze di un vecchio camposanto, nella zona a nordest della città, come
scrive don Pietro Damiani Calvino. Questa area venne definita come Centro di
Raccolta Profughi di via Gorizia; la struttura era al comando del tenente
Previato. Erano pochi spazi in stanze diroccate e riattate alla meglio, oltre a
qualche tenda.
In una lettera, del mese di
maggio 1945, di don Abramo Freschi a monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di
Udine, secondo l’Archivio della Curia Udinese (Acau),
è scritto che i rimpatriati furono sistemati al cinema Rex, all’ex- Gil maschile (di via Pradamano) e in
quella femminile (di via Asquini), oltre che nei collegi Toppo, Tomadini,
Renati e Paolini (situati in varie parti della città). Per una notte fu
utilizzato anche al Tempio Ossario nella cui cripta vennero accolti esuli sino
al 1959, quando non c’era più spazio nel Campo Profughi. Nel 1959, appunto,
erano ancora accolte alcune persone dell’esodo nella stessa chiesa. “Una
famiglia è ospitata nella cripta del Tempio Ossario – riporta «L’Arena di
Pola» del 28 aprile 1959 – chi all’asilo notturno e altri nelle case
diroccate di Via Bertaldia, ora demolite”. Si pensi alla coincidenza: proprio
nell’area di Via Bertaldia fu inaugurato, il 26 giugno 2010, il Parco Vittime
delle foibe.
Fabiola e Gianni Paulon in viaggio di nozze a
Venezia nel 1946.
Per i primi profughi arrivati a
Udine, nel 1945, venivano preparati circa duemila pasti al giorno. Il maggiore
Henry Hudson, comandante americano dei Campi Profughi locali, ebbe modo di
elogiare l’organizzazione del Campo Profughi di via Gorizia, nelle vecchie
scuole (Acau).
Nelle vicinanze di via Gorizia
c’era un acquartieramento di truppe inglesi distribuito in una quarantina di
prefabbricati metallici, tipo bidonville, con torri di guardia, come mi ha
riferito Leonardo Cesaratto. Quando gli inglesi lasciarono Udine, nel
1946-1947, quegli spazi, divenuti di proprietà dell’esercito italiano (caserma
Spaccamela), dopo regolare richiesta, furono occupati dagli istriani e da altri
sfollati. Fu subito chiamato il Villaggio Metallico, o dagli istriani “el
Vilagjo de Fero”. È la seconda localizzazione di un sito per profughi a Udine.
Oggi lì ci sono le roulotte degli zingari.
Nel 1947 è ricordata un’altra
bidonville per i profughi istriani nella frazione di S. Gottardo, nella
periferia est della città sia dalla signora Giuliana Sgobino, che dal signor
Bruno De Faccio.
Il quarto grande luogo di
accoglienza è senz’altro il Centro di Smistamento Profughi di via Pradamano,
che operò dal 1947 al 1960, nella parte meridionale del capoluogo friulano,
vicino alla stazione. La struttura d’accoglienza (oggi scuola media “E. Fermi”)
chiuse i battenti dopo che erano state costruite le case per i profughi e per
gli sfollati. Proprio vicino al Centro di Smistamento furono edificati vari
condomini di case popolari dal 1950 in poi, secondo la documentazione
dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale (Ater); si vedano pure le ricerche di Ferruccio Luppi e Paolo
Nicoloso sul piano Fanfani.
In data 8 dicembre 1950 anche il Libro
storico della parrocchia della Beata Vergine del Carmine, a pag. 223,
riporta che: “In Via delle Fornaci, in base al piano Fanfani, sono sorte 70 nuove
abitazioni, occupate nel mese di novembre da nuovi inquilini”. Diversi profughi
istriani trovarono lavoro a Udine e si stabilirono nelle nuove case costruite
dall’Ina, dal Comune o da altri enti, vicino al Campo
Profughi, in Via Amalteo.
Direttore del Campo Profughi di
Via Pradamano, il 19 agosto 1948, era un certo Luciano Guaita. Dal signor Remo
Leonarduzzi, che ne fu il custode dal 1953, si sa che “raggiunse fino a duemila
presenze giornaliere”. Meglio conosciuto come complesso ex Gil, è stato il più grosso Centro
Smistamento Profughi d’Italia, secondo Silvio Cattalini, presidente del
Comitato Provinciale di Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia (Anvgd). Pure il signor
Leonardo Cesaratto, impiegato dello stesso Centro Smistamento Profughi, mi ha
fornito importanti notizie e rara documentazione su di esso.
Sante Modesto, Majano, pittura a olio su tela, 1960. Collezione Fabiola Laura Modesto, Udine
Ecco altri casi di profughi. Francesco
Gripari nel 1950 fugge da Parenzo per raggiungere il Centro Smistamento
Profughi (CSP) di Udine, dove si ferma per un anno. Poi si trasferisce a
Milano, dove oggi vivono alcuni suoi discendenti, come mi ha raccontato
Mariagioia Chersi, nata a Parenzo nel 1942, che oltre al padre ebbe infoibato
pure uno zio. Sono Giusto e Mario Chersi, lavoravano in panetteria.
Su «Baldasseria Festa Insieme»
del 1996 Mario Visentin ha scritto del suo esilio iniziato nel 1958. Arrivato
al CSP di Udine si trovò in camerate da 15-20 persone ciascuna, con dei teloni
per dividere lo spazio. Non passarono per il CSP, perché era pieno, Maria
Millia e i suoi genitori Anna Sciolis e Domenico Millia, detto Mimi,
fabbro di Rovigno. Scappati da Pola nel 1947, per la paura dopo l’attentato di
Vergarolla, avvenuto il 18 agosto 1946, che provocò 64 morti, tra i quali
bambini, donne ed anziani. Oggi i discendenti di Maria Millia stanno in Via
Marsala e sono tra le persone più attive nella parrocchia del Cristo nella
città di Udine.
3. Il tour dei Campi profughi istriani
Fino a quando durò l’esodo
giuliano dalmata? Gli storici ci assicurano che la data certa è il 1956, forse
perché le autorità jugoslave non prorogano più il diritto d’opzione per
l’Italia, sperando che si esaurisse la fuga di persone verso l’Occidente. Non è
così. Molti sono i fuoriusciti clandestini, sia prima del 1956 che dopo.
L’unica differenza è che contro gli italiani sparano con più convinzione i
“graniciari”, soldati serbi piazzati ai confini dell’Italia per evitare che il
soldato sloveno fraternizzasse coi profughi italiani in fuga.
Molti esuli giuliano dalmati
hanno dovuto passare per vari Campi profughi italiani, si tratta di un vero e
proprio “tour” dei disagi, della tristezza, dell’indigenza e della promiscuità.
I suoceri di Marino Cattunar, da Villanova di Verteneglio, scappano nel 1958
con il passeur, per essere messi nel Campo Profughi di Opicina, a Trieste, per
quattro anni. L’accoglienza in Italia era così. Il padre di Marino Cattunar si
chiamava Nazario; era un milite della difesa territoriale. Era nato il 18
giugno 1908 a Villanova di Verteneglio; fu dichiarato disperso il giorno 1 maggio
1945, poi si seppe che fu ucciso ed infoibato a Vines. Su tali fatti lo
scrittore Mauro Tonino ha scritto un romanzo storico molto interessante,
condividendo le vicende della famiglia Cattunar e dei suoi discendenti.
Si diceva dell’accoglienza nei Campi
profughi da parte dell’Italia matrigna. Myriam Andreatini Sfilli, di
Pola, restò nel Campo profughi di Firenze dal 1947 al 1955. Era alla ex
Manifattura Tabacchi. Avevano messo dei cartoni per creare un po’ di intimità
tra i vari gruppi familiari.
Alida Gasperini, nata a Parenzo
nel 1948 lascia l’Istria con la famiglia il 10 aprile 1949, che ha un dolore straziante di aver perso tre congiunti
nella foiba. Dopo una piccola sosta al Centro di Smistamento Profughi di Udine,
vivono per due anni nel Campo profughi di Mantova, in sei in una stanza, e
altri cinque anni in quello di Tortona in provincia di Alessandria, in una ex
caserma. Come si legge su «Il Secolo d’Italia» la famiglia Gasperini riporta le
stesse frasi della gente istriana, di Fiume e della Dalmazia: «Ricordo persone
che sparivano nel nulla… E poi violenze non solo fisiche: nessuno ricorda che
la propaganda slava era fatta di slogan come: ‘Abbasso Dio, patria e
famiglia’». C’erano battesimi di nascosto, matrimoni all’alba, per evitare
dileggi, processi popolari farsa e violenze titine in piazza davanti a tutti i
paesani, bambini inclusi.
Le famiglie degli esuli sanno
bene quanti anni hanno dovuto passare nei Campi Profughi in attesa di una casa
nel Villaggio Giuliano della città d’esilio. Anche Marco Brecevich di Roma
ricorda la sua famiglia fuggita da Fiume nel 1948, che transita al Silos di Trieste,
poi al Centro di Smistamento Profughi di Udine «uno dei sei Campo profughi
visitati in dieci anni».
Perfino qualche decennio dopo
l’esodo certi profughi hanno ancora paura delle autorità jugoslave e non si
recano a pregare sulle tombe di famiglia in Istria. Capita nel 1977 a Giovanni
Maisani «essendo stato condannato dal Giudizio Distrettuale di Pisino alla
confisca dei beni nel 1948». Questo fatto viene ricordato da Nirvana Maisani,
nata a Montona d’Istria nel 1936. «Siamo venuti via il 2 luglio 1947, col papà
con mia madre Erica Petronio, nata a Visinada nel 1908, poi c’erano sei sorelle
e fratelli, abbiamo passato cinque anni nei Campi profughi de L’Aquila e di
Torino».
Portafortuna lavorato a uncinetto da Fabiola
Modesto, 2016. Diceva un’altra fiumana: “Mai star con le man in man, bisogna
far sempre lavoretto”. E lavorava incessantemente all’uncinetto. Era la signora
Rudan Maria, “Zia Minne”, vedova di prime nozze Mohovic, poi vedova Lehmann
(Fiume, Impero d'Austria Ungheria 1906 - Bolzano 2008). Fotografia di Elio
Varutti
- L’esodo giuliano dalmata nel web
Molte notizie, diverse
testimonianze e svariate interviste sull’esodo giuliano dalmata e sui
discendenti degli esuli sono ormai a disposizione in Internet. Le testate dei
quotidiani a stampa hanno ormai un sito web, dove trovare i dati nella sezione
di archivio. Sono parecchi i siti giornalistici presenti solo nella rete che
trattano fatti storici, come quelli dell’esodo giuliano dalmata, non solo
attorno al 10 febbraio, ma tutto l’anno. Poi ci sono moltissimi blog, come
quello presente. Molte notizie girano in
modo riservato anche nelle caselle di posta elettronica.
Proprio da una corrispondenza via
e-mail la signora Rossana Horsley, nata a Londra nel 1952, essendo alla ricerca
di documenti sulla storia della propria famiglia, mi ha scritto che: «Mia
madre, Evelina Margherita Pavinich, detta “Lina” è nata a Pola nel 1920 e con
sua madre Genoveffa Pavinich, detta “Genny”, nata nel 1900, ha fatto parte
dell’esodo nel 1947. La nonna lavorava alla Manifattura Tabacchi e fu
trasferita a Firenze, mia madre faceva la sarta ed hanno vissuto nelle baracche
del Campo Profughi di Via Guelfa. Poi mia madre si sposò nel 1951 con mio padre
inglese e fu naturalizzata britannica nel 1956».
Mi pare di concludere che la
voglia di raccontare per gli esuli giuliano dalmati e per i loro discendenti,
dopo la legge sul Giorno del Ricordo, non si spegnerà più.
In guerra potevi morire per futili motivi, per le spie, come
poteva succedere che qualcuno ti salvasse la vita. Accadeva e persino i
romanzieri riportano casi specifici non lontani dalla realtà, come fa Claudio
Magris, col suo protagonista maniacale alla ricerca di reperti bellici. «Ma andate a chiedere a quegli sloveni di San
Pietro del Carso affiliati all’Osvobodilna Fronta, ve l’ho già raccontato, e vi diranno come, facendo l’interprete per
i tedeschi che li rastrellavano, ho salvato la pelle a tanti di loro,
convincendo i nazi che erano brava gente che non si impicciava di politica»
(Claudio Magris, Non luogo a procedere,
Milano, Garzanti, 2016, pp. 103-104). L’Osvobodilna Fronta è il raggruppamento partigiano jugoslavo,
attivo dal 1941 al 1953.
Fonti orali
Ringrazio e ricordo con piacere
le seguenti fonti orali per la disponibilità riservata. Le interviste sono
state raccolte da Elio Varutti a Udine, con taccuino, penna e macchina
fotografica nelle date citate, se non altrimenti riportato. Per gli aiuti nelle
traduzioni dall’inglese ringrazio la professoressa Francesca Passerelli. Ringrazio pure la professoressa Elisabetta Marioni per le interviste condotte con i suoi allievi all'Istituto "B. Stringher" di Udine. Sono riconoscente alla professoressa Patrizia Pireni per i contatti intrattenuti con esuli e discendenti di esuli di Fiume.
- Myriam Andreatini Sfilli, Pola 1930, testimonianza di Silvio
Cattalini del 12 dicembre 2015.
-
Marco Brecevich, Roma 1966, messaggi in Facebook del 14 gennaio 2016.
-
Silvio Cattalini, Zara 1927, int. del 22 gennaio 2004 e del 10 febbraio
2016.
-
Marino Cattunar, Villanova di Verteneglio 1933, int. del 15 febbraio
2013 a Martignacco.
- Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 - Udine 2011), impiegato del Centro Smistamento Profughi di Udine, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004.
- Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 - Udine 2011), impiegato del Centro Smistamento Profughi di Udine, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004.
-
Mariagioia Chersi, Parenzo 1942, int. del 23 marzo 2015.
- Maria Cliselli, Pisino 1930, intervista dei giorni 8 ottobre 2015 e 29
febbraio 2016.
- Bruno De Faccio, Udine 1933, int. a cura di Elisabetta Marioni del 12
ottobre 2011.
- Remo Leonarduzzi (Ragogna 1926-2005), custode del Centro Smistamento
Profughi di Udine, int. del 16 febbraio 2004.
- Nirvana Maisani, Montona d’Istria 1936, messaggio sul gruppo di Facebook
“Esodo istriano, per non dimenticare”, 28 febbraio 2016.
- Maria Millia, vedova Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009) int. del
giorno 11 maggio 2004 e 10 febbraio 2008.
- Fabiola Laura Modesto Paulon, Fiume 1928, int. del 5 e del 13 aprile
2016.
- Giuliana Sgobino, Ancona 1940, poi vissuta a Udine, int. del 10 febbraio
2013.
Fonte digitale
- Rossana
Horsley, Londra 1952, e-mail del 10 e 11 marzo 2016.
Bibliografia ragionata
Sull’esodo giuliano dalmata
-
Myriam Andreatini Sfilli, Flash di una giovinezza
vissuta tra i cartoni, Firenze, Alcione, 2000.
- “Fabiola Modesto, energica signora dei commercianti”,
in Mario Blasoni, Vite di friulani, Udine, Aviani & Aviani, 2009,
pp. 161-164.
-
Danila Braidotti “Nila”, Fontanebuine,
manoscritto in lingua friulana, 2015.
- Simone
Cristicchi, con Jan Bernas, Magazzino 18. Storie di italiani esuli d’Istria,
Fiume e Dalmazia, Milano, Mondadori, 2014.
- Armando Delzotto,
I miei ricordi di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), Edizioni
del Sale, Udine, 2013.
-
William Klinger, La
strage di Vergarolla, Trieste, Libero Comune di Pola in Esilio, 2014.
- Gianni Oliva, Esuli.
Dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume e
Dalmazia, Milano, Mondatori, 2011.
- Gloria Sabatini, Foibe, il racconto dell’esule
istriana Alida: “Ho lasciato Parenzo a sei mesi per amore dell’Italia”, «Il
Secolo d’Italia», 13 febbraio 2014.
-
Mauro Tonino, Rossa
terra, Pasian di Prato (UD), editore L’Orto della Cultura, 2013.
-
Annalisa Vukusa, Sradicamenti,
Fagagna (UD), Tipografia Graphis, 2001.
Sul Centro di Smistamento Profughi di Udine
- Archivio
della Curia Udinese (Acau), f.
Pontificia / Commissione / Colonie, c. 1. Ringrazio don Maurizio Volpe,
responsabile dell’Acau, per la
cortese collaborazione.
- Archivio
di Stato di Udine (Asud),
Prefettura, Appendice, busta 125, carta dal Registro spedizione masserizie
profughi. Documenti vari su carta intestata del Csp di Udine.
- Roberto
Bruno, Elisabetta Marioni, Giancarlo Martina, Elio Varutti, Ospiti di gente
varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di
Udine 1943-1960, Istituto Stringher, Udine, 2015.
- Pietro
Damiani Calvino, Relazione sull’attività del Campo N. 4 AMG-DP Centre Udine,
1 febbraio 1946, Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli (Aorf), cartella T 1, f 7, c 11. La
esplicazione e traduzione per N. 4 AMG-DP Centre Udine è: “N. 4 Allied
Military Government – Displaced Persons Centre Udine” (Centro n. 4 per Persone
Senza Patria del Governo Militare Alleato di Udine). L’attribuzione
internazionale di “rifugiato” è stabilita a Ginevra il 28 luglio 1951. L’Aorf ha sede presso la Biblioteca
“Pietro Bertolla” del Seminario di Udine.
- «Il
Gazzettino» del 27 febbraio 1960, Cronaca di Udine, p. 4, contiene la notizia
della chiusura del Centro di Smistamento Profughi di Udine, nell’articolo della
cronaca di Udine, infatti, si viene a sapere che «col 1° marzo avrà inizio il
trasferimento a Cremona del primo scaglione di profughi, dovuto allo
scioglimento del centro di Udine, disposto dal Ministero degli Interni. Il
Centro Raccolta Profughi di Cremona, sorto nel 1945, è molto bene attrezzato».
- Remo
Leonarduzzi, La ex-Gil di via Pradamano, «Baldasseria 78», Udine, 1978,
pp. 6-7.
- Ferruccio
Luppi, Paolo Nicoloso (a cura di), Il Piano Fanfani in Friuli. Storia e
architettura dell’Ina-Casa,
Provincia di Udine, Edit. Leonardo, Pasian di Prato (UD), 2001.
- Dori
Maraggi, Borgo S. Lazzaro, Udine, 1986, p. 13, dattiloscritto.
- Nelle
tre Baldasserie si contano dodici osterie e tre stanze per cinque classi,
«Il Gazzettino», 9 gennaio 1959, p. 5, articolo sull’integrazione degli
istriani a Udine Sud.
- Franco
Sguerzi, E. Varutti, La nostra parrocchia di San Pio X a Udine 1958-2008.
Cinquanta anni di memorie condivise, Udine, Academie dal Friûl, 2008.
- Giorgio
Stella, Vi racconto San Rocco. Storia di un suburbio tra luoghi e identità,
dattiloscritto, 2016.
- Elio
Varutti, Il Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano accolse oltre
centomila persone dell’esodo dal 1947 al 1960, «Festa Insieme Baldasseria»,
Udine, 2004, pp. 18-20.
- E.
Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano
dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli
adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
- E.
Varutti, Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e
dell’Istria scolari a Udine, 1948-1963, «Sot la Nape», 4, 2008. pp. 73-86.
- E.
Varutti, Rifugi antiaerei a Udine. Profughi istriani, preti e parrocchiani,
«Festa Insieme Baldasseria», Udine, 2013, pp. 34-35.
- E.
Varutti, La Cappella dei profughi istriani, «Festa Insieme Baldasseria»,
Udine, 2014, pp. 34-35.
- E.
Varutti, Voci dal Centro di Smistamento Profughi di Udine, 1947-1960,
«Festa Insieme Baldasseria», Udine, 2015.
- Mario
Visintin, Accoglienza, «Baldasseria Festa Insieme 1996», Udine, 1996,
pp. 30-31.
Udine 2016 - La targa ricordo sfregiata e graffiata
da mani losche al Parco Vittime delle Foibe, in Via Bertaldia – Via Manzini,
inaugurato il 25 giugno 2010. Fotografia di Elio Varutti
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Questo articolo rientra nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata, per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di storia dell’Istituto Stringher di Udine, di cui è referente il professor Giancarlo Martina. È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio di:Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana, ANED, ANVGD di Udine.
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