Sebastiano Pio Zucchiatti, Suggestioni su Calle Nova a Dignano d'Istria, elaborazione al computer, stampa acquerellata, gouache e pastelli su carta, cm 18 x 21, 2016 - da una fotografia di C. Stincich di Pola 1907.
Un altro bravo fotografo di Dignano d'Istria fu Francesco Giachin, attivo negli anni 1930-1937.
Invece Antonio Franco,
vigile di Dignano d’Istria conosciuto e stimato da molti paesani, era proprio penzolante
da un olivo, sfigurato, massacrato di legnate, con gli abiti laceri. «Adesso so perché il podestà non voleva fare
le ricerche – continua la testimonianza
– passati tre mesi dalla sua scomparsa è stato trovato da chi andava a fare
erba per i conigli e fu avvisato il paese. Certi paesani andarono sul luogo del
supplizio. Mio fratello Libero, nato nel 1932, non lo riconobbe, continuava a
ripetere: No, no xe papà».
Allora, come è stato
riconosciuto?
«Mia
mamma si ricordava che ad un alluce di papà mancava l’unghia, persa durante la
naia e mai più ricresciuta bene – aggiunge la signora
Evelina Franco – poi ha detto a chi è
andato nel bosco degli ulivi a recuperare quel cadavere: Guardate in bocca,
perché Toni ha due denti d’oro». Fu in questo modo sconvolgente che fu
identificata la guardia Antonio Franco di Dignano d’Istria, nonostante i
capelli allungati e i pantaloni blu sbiaditi, per essere stato esposto al sole
e alle intemperie, dopo le strazianti torture. «A quell’epoca mio padre era un’autorità importante – spiega la
signora Franco – ma non voleva essere comunista, né repubblichino».
Avete trovato i colpevoli
delle sevizie mortali?
«Saputa
la notizia dell’identificazione, mia madre era svenuta – continua
Evelina Franco – poi tutto il paese si
strinse vicino a lei per il cordoglio, perché mio papà era una persona giusta,
in gamba e benvoluta da tutti. Il suo corpo martoriato fu esposto su un balcone
in piazza e i partigiani, che nel frattempo avevano preso il paese, fecero un processo
e i due assassini alla fine hanno confessato».
Successe tutto dopo l’8
settembre 1943. Avete capito come mai fu torturato e ucciso a percosse?
«In
quei mesi c’era confusione – spiega la signora Evelina
– c’era
molto odio, poi c’erano le uccisioni nelle foibe, ammazzavano per dei rancori,
mio padre ripeto era un’autorità importante e non voleva essere comunista, né
repubblichino».
Domande sull'esodo istriano, testo predisposto dagli allievi della classe 2^ E alberghiero dell'Istituto "B. Stringher" di Udine, con la guida di Anna Ghersani Durini, insegnante di Storia, 2016
Dopo la guerra avete
affrontato anche voi l’esodo?
«Scappati
da Dignano d’Istria, siamo partiti da Pola – riferisce la testimone – nel mese di febbraio del 1947, col piroscafo Toscana fino alla città di Ancona, perché nonna Filomena Marin, disperata, continuava
a dire a mia madre: Cosa farai adesso che sei vedova con tre figli?».
Sa, per caso, come si
chiamava la madre di nonna Filomena, cioè la sua bisnonna?
«Sì,
me lo ricordo bene, era Filomena pure lei e, per giunta, figlia ancora di una
Filomena – aggiunge Evelina Franco – perché mia mamma mi raccontava sempre che
la levatrice di Dignano, quando sono nata io, nel 1935, disse a mia madre: Non
sta ciamarla Filomena, eh!».
Allora, con la nave
arrivate ad Ancona e lì vi hanno portato in un Campo Profughi?
«Ricordo
che ad Ancona ci hanno accolto le crocerossine – riferisce
la signora Evelina Franco – col latte e
la cioccolata calda, poi ci portarono in treno a Rovigo, stavamo in una
palestra, coi materassi per terra, per tre giorni siamo stati lì, era scomodo, tutti
insieme maschi, femmine e bambini, poi le donne si lamentavano, perché non
potevano lavarsi in tranquillità, per fortuna un conoscente, il padrino di mio
fratello, ci ha portato da lui, avevano campagna con i coloni, ma mio fratello
non c’era perché sul piroscafo un prete raccoglieva i ragazzi per portarli in
un collegio per orfani di profughi a Oderzo, in provincia di Treviso, ma mio
fratello Libero, dopo tre anni passati lì, scappò dal collegio e arrivò da noi,
ma non lo riconoscevamo perché era cresciuto tanto e poi era magro come un
chiodo».
Insomma avete trovato una
sistemazione a Rovigo…
«Un
po’ di anni più tardi – aggiunge la signora Evelina Franco – mia madre trovò una casa a Bellombra, in
provincia di Rovigo, mentre mia sorella Ida, nata nel 1938 a Dignano, ed io
abbiamo trovato lavoro presso le suore e il fratello Libero continuava a
lavorare da agricoltore presso il suo santolo, cioè il padrino. Da Torino,
città di esilio di Bonetta Franco, sorella di mio papà, la zia Bonetta diceva
sempre a mia mamma di andare tutti a Torino, perché là potevamo cambiare vita.
Dopo molte insistenze siamo partiti per Torino in treno. Essendo profughi di
guerra e profughi giuliani, mio fratello Libero ha trovato lavoro alla Fiat,
mia sorella Ida in una fabbrica di piastrelle ed io in un laboratorio di
maglieria. Ci siamo così sistemati».
Materiali grigi
sull'esodo istriano, scheda di intervista somministrata da Davide L. alla signora Evelina Franco (sua nonna), esule a Torino, correzioni e cancellature a cura degli allievi della classe 2^ E
alberghiero dell'Istituto "B. Stringher" di Udine, con la guida di Anna
Ghersani Durini, insegnante di Storia, 2016
«Sì,
bisogna sapere queste cose – dice la signora Evelina
Franco – adesso possiamo parlare,
raccontare e ricordare questi fatti e chiedo solo rispetto per i nostri morti».
Qualcuno dei suoi
partenti è rimasto a Dignano d’Istria, dopo il 1945-1947?
«Sì,
mio cugino Vittorio Marin è rimasto là – conclude la
signora Franco – ma è morto un po’ di
anni fa, i Marin avevano campagna, olivi e vino, prima della guerra».
Vorrebbe tornare a
Dignano d’Istria?
«No».
È ritornata qualche volta
in Istria e le è piaciuto ritornare là?
«Sono
ritornata, ma non mi è piaciuto, perché è tutto diverso».
Preferisce Dignano
d’Istria, oppure Torino?
«Torino».
Sebastiano Pio Zucchiatti, Nuvola scura sopra Piazza Italia a Dignano d'Istria,
elaborazione al computer, stampa acquerellata, gouache e pastelli su
carta, cm 20 x 20,50, 2016.
Da una fotografia del 1930.
1. Il santo co la bareta rossa
Da un’altra fonte orale si
viene a sapere una storia tutta particolare e al limite del ridicolo. Nella
chiesa di Dignano d’Istria era d’uso, durante la processione interna, cantare
le litanie e pregare i santi davanti agli altari, alle immagini e alle statue. Però di un
santo non si sapeva proprio il nome. C’era la statua, ma si era persa la sua
denominazione, nonostante il copricapo rosso che portava. Così il popolo devoto
cantava: «Che sia quel santo che sia co la bareta rossa». Le notizie di questa originale
cultura popolare dei santi di Dignano d’Istria sono state riferite dai
discendenti di Iris D.P., nata a Pola nel 1921.
Il mistero del “Santo co la bareta rossa”
Il “santo co la bareta rossa” è con tutta probabilità un
beato, morto nel 1207. Il riferimento bibliografico è il seguente: Mons.
Antonio Conte, Guida al Duomo e alle
chiese dignanesi, Torino, Famiglia Dignanese, 2006.
Si tratta di beato Leone Bembo, di nobile famiglia veneziana,
che fu vescovo di Modone (Methoni), nella Morea o Peloponneso, sottoposto alla
Repubblica di Venezia. Egli è raffigurato non in una statua (come accennato dalla fonte orale), ma su una tavola dipinta in stile
bizantino su sfondo dorato, da Paolo Veneziano, nel secolo XIV. Tale opera,
menzionata come il Trittico di Beato Leone Bembo, era appesa alla parete
sinistra del presbiterio del duomo di Dignano.
L’intitolazione e l’attribuzione furono incerte sino oltre il
primo quarto del Novecento. Abbellimenti e cure del duomo sono successivi al
1926. Ecco come si spiega la non conoscenza popolare dei devoti cristiani di
Dignano, poco prima e poco dopo la Grande Guerra, cui si fa riferimento nella
fonte orale.
Si sa che certe reliquie e alcune opere d’arte furono portate
a Dignano, nel 1818, dal pittore veronese Gaetano Grezler (el sior Gaetano),
chiamato a decorare il nuovo duomo, consacrato nel 1808, in seguito al crollo
di quello precedente. Antonio Alisi, in Istria:
città minori, scrive che, dopo la furia di Napoleone, a Venezia furono
distrutti il convento di San Lorenzo e la chiesetta di San Sebastiano, tanto
che Gaetano Grezler comprò alcune reliquie (mummie), come quelle di beato Leone
Bembo e di prete Giovani Olini, oltre ad altari, pitture ed altri oggetti. Già
sul cognome di quest’altro religioso ci fu confusione nell’Ottocento, dato che egli
figura in un catartico come: «b.
Joannes olim presbiter-plebanus». Gli studiosi di tradizione veneziana, avendo
letto male la parola “olim” (= una volta), la interpretarono come un cognome di
famiglia: “Olini” (Conte, pag. 42).
Si pensi che nel 1909 la pittura del Trittico di Beato Leone Bembo
– come scrive l’Alisi – stava rovesciata in sacristia, appoggiata su dei
cavalletti ad uso tavolo per smoccolar candele o per sistemare i materiali di
adornamento degli altari. In seguito fu appeso in chiesa, senza sapere molto su
di esso.
Il Trittico di Beato Leone Bembo è il quadro più antico del duomo.
Il dipinto è diviso il tre parti. La figura centrale è quella del beato,
raffigurato in piedi ricoperto da una tunica talare scura sulla quale si
evidenzia un mantello fulvo aperto sulla destra e allacciato sulla spalla.
Intorno al collo – scrive il Rismondo nel suo Dignano d’Istria nei ricordi, pag. 167 – il beato ha una breve
mozzetta di pelle nera, alluso greco. Ciò fa spiccare con maggiore chiarezza la
testa e il mento barbuto. Sul capo, cinto di aureola d’oro, porta una cuffia
bianca per cingere i capelli arruffati e sopra questa sta un’altra cremisina
simile a una calotta. Poi la descrizione iconografica procede con tanti altri
particolari. Dunque la cuffia cremisina
simile a una calotta è proprio la “bareta rossa” del popolino devoto.
Persino i dati anagrafici dei beati in questione non sono
definiti. Ogni autore sembra fare a gara per smentire quelli precedenti. Tale
confusione tra gli esperti provocò una ignoranza nel popolo, che scelse di
onorare comunque la reliquia e la pittura di Dignano nelle litanie col canto:
«Che sia quel santo che sia co la bareta rossa».
Riferimenti bibliografici. Mons. Antonio Conte, Guida
al Duomo e alle chiese dignanesi, Torino, Famiglia Dignanese, 2006, pagg.
33-36.
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Ringraziamenti
Ringrazio, per avermi
concesso l’intervista, la signora Evelina Franco, nata a Dignano d’Istria nel
1935 ed esule a Torino, da me ascoltata al telefono il 28 aprile 2016. Sono
riconoscente a suo nipote Davide L., studente della classe 2^ E alberghiero,
presso l’Istituto “B. Stringher” di Udine, dove con la conduzione della
professoressa di Storia Anna Ghersani Durini, è stata sviluppata una ricerca
sull’esodo giuliano dalmata nella primavera 2016, nell’ambito del Piano
dell’Offerta Formativa, con interviste alla nonna Evelina Franco.
Per la storia religiosa
del «Santo co la bareta rossa» sono grato a Gabriele D.C., nato a Venezia nel
1947, discendente dei Bunder di Dignano d’Istria, da me intervistato a Udine il
23 aprile 2016.
Per i disegni di questo articolo ringrazio l'autore.
Sono riconoscente a Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria, che ha cortesemente messo a disposizione delle mie ricerche la collezione di 300 cartoline d’epoca riprodotta da Piero Delbello (a cura di), Saluti dall’Istria e da Fiume, Edizioni Svevo, Trieste, con gli auspici di: Unione degli Istriani, Associazione delle Comunità Istriane, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) di Trieste.
Sono riconoscente a Giorgio Gorlato, esule da Dignano d’Istria, che ha cortesemente messo a disposizione delle mie ricerche la collezione di 300 cartoline d’epoca riprodotta da Piero Delbello (a cura di), Saluti dall’Istria e da Fiume, Edizioni Svevo, Trieste, con gli auspici di: Unione degli Istriani, Associazione delle Comunità Istriane, Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD) di Trieste.
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Ricerche
personali ragionate
Mi è capitato di
raccogliere varie testimonianze riguardo a Dignano d’Istria, che qui mi
permetto di ricordare per il lettore incuriosito.
1)
Maria Chialich, nata a Dignano d’Istria
nel 1919 e morta a Udine nel 2010 assieme ai suoi discendenti ha vissuto la
vicenda più tragica, dato che ebbero ben sette familiari uccisi e gettati nella
foiba dai miliziani di Tito. Si veda in questo stesso blog il paragrafo n. 2,
intitolato “Una famiglia, sette infoibati” nell’articolo seguente: Scappare dall’Istria via pel mondo, 1943.
2)
Giorgio e Daria Gorlato persero il padre
Giovanni, notaio di Dignano d’Istria, ucciso dai titini. Vedi il saggio: “Ospiti di gente varia. Cosacchi, esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960”, del 2015.
3)
Armando Delzotto, detto “Terere” ha
scritto un memoriale di ricordi su Dignano d’Istria, intitolato “I miei ricordi
di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), edizioni del Sale, Udine, 2014. Vedi
l’articolo: “ANVGD Udine, Memoriale di Delzotto sull’esodo istriano”.
4)
Maria Giovanna Copic, nata a Tarvisio,
provincia di Udine, nel 1950, ricorda lo zio Pino Iursich, che con la moglie
Celestina di Portole gestivano un forno e una trattoria a Dignano d’Istria,
fino alla fuga alla volta di Trieste, presso parenti (int. del 30 gennaio
2004).
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Lettera di ringraziamento alla intervistata della classe 2^ E alberghiero,
dell'Istituto “B. Stringher” di Udine, con la conduzione della
professoressa di Storia Anna Ghersani Durini
Questo articolo rientra
nelle attività del Centro di ricerca, documentazione e produzione culturale sull’esodo giuliano dalmata,
per raccogliere, testi, documenti, interviste e fotografie di quei particolari
momenti storici. Il Centro di ricerca è sorto all’interno del Laboratorio di
storia dell’Istituto
Stringher di Udine, di cui è
referente il professor Giancarlo Martina. È parte del progetto, sostenuto dalla Fondazione Crup, “Storie
di donne del ‘900”, che ha ottenuto, tra gli altri, il patrocinio
di: Provincia di Udine, Comune di Udine, Club UNESCO di Udine, Società Filologica Friulana,
ANED,
ANVGD di Udine.
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