venerdì 31 agosto 2018

Esodo istriano di Armida da Fasana con la paura, i sequestri e le bugie dei titini


“Semo vignudi via nel 1948 e semo andadi al Silos de Trieste”. Comincia così il racconto dell’esodo di Armida Villio, nata a Fasana, vicino a Pola, di fronte all'Isola di Brioni. 
Armida Villio e Alda Devescovi a un incontro di soci ANVGD a Grado (GO) il 30 agosto 2018. Fotografia di Elio Varutti

I profughi istriani stavano poco al Silos, uno dei Campi Profughi di Trieste, perché era sempre pieno. Poi venivano inviati al Centro di Smistamento Profughi di Udine e da lì assegnati a uno degli oltre cento Centri Raccolta Profughi (CPR) sparsi per l’Italia. La signora Villio è arrivata a Grado, provincia di Gorizia, una località balneare sorta sotto gli Asburgo nell’Alto Adriatico, a poche miglia marine da Pirano e dall’Istria, nel frattempo passati alla Jugoslavia.
Il CRP del Silos non era certo un hotel a tre stelle. Freddo, finestre coi vetri rotti, tanta gente ammucchiata alla meno peggio e scarsa pulizia. La signora Armida trova, tuttavia, anche un aspetto positivo della sua permanenza nella Trieste del Territorio Libero (1945-1954) governata dagli angloamericani. “Ze sta bel, jero al Silos, ma jera i americani che i sonava dappertutto, musica e ballo per la città”. Così i profughi potevano dimenticare le vessazioni e le violenze patite sotto i titini.
“Mio fradel Eligio Villio – continua la testimonianza – el ze scampado con altri sedici ragazzi, tuti zoveni”. Com’è successo? “Ze partidi da Fasana con due barche a motor e i ze finidi fin sul delta del Po – precisa la signora Villio – jera marzo e fazeva fredo, me ricordo che i paroni de una barca jera i Barattin e quei de la seconda barca jera i Chersin”.
La fuga dei 17 giovani di Fasana termina in provincia di Rovigo e poi si sono fermati là? “No, la zente del posto diseva che i jera tuti fascisti e no i li voleva – afferma la signora Armida – così ze stadi ciapadi dentro da le munighe e dopo ze rivadi a Grado, mio fradel Eligio el ze andà a studiar a Genova al convitto Cristoforo Colombo, più tardi, dopo esserse sposado con una signorina de Cherso, el mori a Trieste nel 1985”.
La vicenda non finisce solo così, perché il padre di Eligio e Armida era rimasto a Fasana. “Durante la fuga delle due barche el pare el stava atento che no vignissi nissun a scoprirli – aggiunge la testimone – il giorno dopo i titini, non vedendo le barche in porto, i fa visita a ogni famiglia dei 17 scampadi e il sior Chersin, pare de tre de lori, el dise che no saveva dove che jera andadi e li spetava per tuta la sera, mostrando la polenta nei piati per i tre fioi”.
Ma il babbo Villio e i paesani sapevano tutto, non è vero? “In realtà un fradel de mia mama in una trattoria nel sotoscala gaveva scoltado la radio – spiega la signora Armida – el gaveva savudo de due barche de fasanesi finide sul delta del Po, ma tuti i parenti i fazeva finta de no saver niente coi titini”.

Era tutto un gioco di astuzia e di grande tensione. In paese i titini mettono in giro la voce di aver catturato i 17 ragazzi scappati con le due barche e di averli niente meno che imprigionati a Pola. Allora il babbo di Eligio si reca a Pola e, nel carcere, gli confermano che il figlio e gli altri 16 sono reclusi lì. “Ma no podeva veder suo fio, i ghe gà dito – riferisce la signora Armida, con un occhio furbetto – per forza el jera scampado!”. 
E nelle case a Fasana cosa succedeva? “Succedeva che i ‘sciavi dell’Ozna i sequestrava tuto quel che i voleva portar via – risponde la testimone – dalla bicicleta, a la radio e, per rivalsa, soprattutto oggetti appartenenti ai fuggitivi”. 
Con la sigla Ozna si intende “Odeljenje za Zaštitu Naroda”, ovvero Dipartimento per la Sicurezza del Popolo. Era la polizia segreta di Tito, che attuava requisizioni, vessazioni ed addirittura che ha programmato le eliminazioni di italiani dell’Istria. La pianificazione delle uccisioni, per pulizia etnica, è stata descritta da Orietta Moscarda Oblak nel 2013, a pp. 57-58 di un suo saggio.
Cartolina di Peroi, presso Fasana, Piazza delle scuole, primi del '900. Tratta dal web

Poi cosa succedeva a Fasana nel 1948? “Jera pien de spie dei ‘sciavi – riporta la signora Armida – in quel tempo no se serava la porta de casa, così i entrava i ‘sciavi a sentire cossa se diseva in famiglia per dirlo all’Ozna”.
Comunque dagli anni 1960-1970 il clima di terrore in Istria è cambiato? “Quel che sequestrava la roba ai italiani se ciamava Nino M., deto Nini – conclude la signora Armida Villio – e un bel giorno nei anni sesanta el capita veramente a Grado nela mia nuova famiglia, gavevo sposado proprio un dei fradei Chersin, per domandar soldi per andare a Gorizia e dopo per tornar a casa in Jugo, el se gà butado in zenocio e dopo el gà chiesto scusa per i sequestri fati, così la mia famiglia commossa ghe gà dà el capoto, dei vestiti e i soldi per andar a Gorizia e per tornar a Fasana… ecco ze finida l’intervista?”.
Lo scrivente ringrazia molto la signora Armida Villio, per la testimonianza che ha fatto spontaneamente, anche se provoca dolore, rabbia, confusione ed altri sentimenti. Si cercherà di diffonderla, perché bisogna conoscere queste vicende, che sono dei pezzi di storia dell’Italia e dell’Europa poco noti.

Tra cronaca e storia, foibe e negazionisti già nel 1948 
Un ultimo dato storico. Nel 1943-1944 arrivano a Fossalon di Grado i primi profughi in fuga da Zara, sottoposta ai 54 bombardamenti degli angloamericani, su imbeccata dei titini. Tra il 1947 e il 1949 giunge nella cittadina balneare di origine romana, com’è Grado, una seconda ondata di esuli. Essi fuggono da Pola, da Fiume e da molte cittadine dell’Istria meridionale e occidentale. Si parla di 1.730 persone che vengono sistemate soprattutto a Fossalon, come ha scritto Ivan Bianchi su «Il Friuli» nel 2018.
La cronaca del 1948, secondo il «Messaggero Veneto» è piena di fughe di persone dalla Jugoslavia di Tito, ufficiali croati compresi. Da un paese vicino a Caporetto scappano tutti, portandosi dietro gli animali di allevamento e di corte, per stabilirsi nelle Valli del Natisone (UD). Ci sono articoli riguardo l’uccisione di italiani nelle foibe perpetrata dai titini e delle esumazioni per dare un nome alle vittime. C’è la cifra di 4 mila uccisi nelle foibe in un articolo del mese di marzo. Ci sono le fughe in barca. Si scappa a piedi per i boschi, anche a decine di persone. Si è considerato solo il mese di marzo 1948, come campione, ma nei mesi precedenti e in quelli successivi è la stessa musica.
Nella cronaca di Gorizia di detta testata si legge, nel giorno 2 marzo 1948, che ai carabinieri di Capriva (GO) si presentano un prete jugoslavo, sua cognata e due figlioli di lei. È don Stanko Drnas, di 36 anni e la donna è Maria Akrap, di 37 anni, fuggiti dalla Dalmazia. Il cronista precisa che i quattro fuggitivi sono stati aiutati “dalle popolazioni agricole che hanno ospitato e, privandosene essi stessi, sfamato i fuggiaschi, nascondendoli alla spietata caccia che loro veniva data dall’Ozna”.
Passiamo alla cronaca di Trieste. Il 3 marzo 1948 è riportata la notizia del recupero di otto salme nella Foiba del Cane. Viene riconosciuto il corpo di Angelo Morandini, di Lusevera (UD), classe 1896, abitante a Longera (TS). Era capo operaio dell’Industria Triestina Frantumazione Pietre, con cantiere sulla strada Trieste-Basovizza. Il 5 maggio 1945 è prelevato dai titini nella persona di Francesco Marussich, assieme alla signora Dora Ciok. Vengono fatti salire su un’automobile guidata da tale Gruden e portati alla caserma di S. Giovanni, dove è fatta scendere la donna. Morandini è invece scortato alle scuole di Gropada. Alcuni giorni dopo, con altri sette imprigionati, è condotto alla Foiba del Cane, che dista un centinaio di metri dal paese. La gente di Gropada narra che in quelle occasioni interveniva un individuo sanguinario, chiamato “el Boia”. Proprio lui “el Boia”, con un’ascia, spacca la testa ai prigionieri, prima di gettarli nella foiba. Il Morandini è freddato con una scarica di mitra dallo stesso Marussich. Qui, il cronista riporta un fatto contingente. Il 4 febbraio 1948, quando la squadra di recupero inizia l’esumazione dei corpi a Gropada, una maestrina comunista, con sdegno, dice agli addetti recupero salme che nella foiba c’erano solo ossa di animali. Dopo il recupero di otto resti umani, l’ispettore di polizia di turno chiede alla maestrina che insisteva nella sua versione negazionista, se gli abitanti di Gropada erano usi mettere la cravatta ai vitelli, scarpe ai bovi e vestiti ai cani. La giovane maestra allora arrossisce e si allontana.
Cartolina di Rovigno, primi del '900, fotografo Nicolò Daveggia, Rovigno. Editore Photo Atelier "Flora", Pola. Immagine ripresa dal web

Un ulteriore cenno si fa a Dora Ciok. Come ha scritto Giuseppina Mellace, nel 2014 “fu violentata dai suoi carcerieri e gettata, ancora viva, nella foiba di Gropada”. La sua salma fu ritrovata nell’agosto del 1946, legata con una cinghia e con filo spinato.
In un altro articolo dal «Messaggero Veneto» del 17 marzo 1948, sempre sulla cronaca di Trieste si legge della “Drammatica fuga di nove istriani”. L’evento assomiglia molto al racconto di Armida Villio. Il cronista spiega della partenza precipitosa con due barche a remi da Fontane, un paese tra Parenzo e Orsera. Dopo diciotto ore di navigazione i profughi approdano a Jesolo (VE) chiedendo assistenza alle autorità.

Una notizia della cronaca di Udine, infine, sempre dal «Messaggero Veneto». Il titolo è sull’onda di quelli del mese stesso: “Continua la fuga”. Si legge nell’articolo che al Centro Profughi di Via Gorizia si sono presentati tre fuggiaschi da Rovigno. Essi sono scappati in una barca a remi a sono sbarcati a Chioggia, poi sono stati portati a Udine, dove funziona uno dei più grossi Centri smistamento profughi d’Italia. 
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Fonte orale
Armida Villio, Fasana (Pola) 1933, intervista con taccuino, penna e macchina fotografica a Grado (GO) a cura di E. Varutti del 30 agosto 2018. Si ringrazia, per la collaborazione riservata, la signora Alda Devescovi, nata a Rovigno ed esule a Grado.

Bibliografia
“Altri quattro jugoslavi fuggiti e riparati in Italia”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Gorizia, 2 marzo 1948, p. 2.
Ivan Bianchi, “Fossalon, il borgo che sta morendo”, «Il Friuli», n. 34, 31 agosto 2018, p. 22.
- “Continua la fuga”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Udine, 20 marzo 1948, p. 2.
- “Drammatica fuga di nove istriani”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Trieste, 17 marzo 1948, p. 1.
- Giuseppina Mellace, Una grande tragedia dimenticata. La vera storia delle foibe, Roma, Newton Compton, 2014.  2.
- Orietta Moscarda Oblak, “La presa del potere in Istria e in Jugoslavia. Il ruolo dell’OZNA, «Quaderni del Centro Ricerche Storiche Rovigno», vol. XXIV, 2013, pp. 29-61.
“Un’altra identificazione tra le salme della Grotta del Cane”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Trieste, 3 marzo 1948, p. 2.
  
Sitologia

- E. Varutti, Il Campo profughi del Silos a Trieste, on-line dal 27 aprile 2015.

- E. Varutti, La foiba di Mario e Giusto, «friulionline.com» del 20 aprile 2015.

- E. Varutti, Elvira Casarsa da Parenzo, l’esodo del silenzio 1948, on-line dal 6 dicembre 2015.

L’edificio del Silos di Trieste nel 1939, foto dal web. Dal 1945 funzionò come Centro Raccolta Profughi dell’Istria, Fiume e Dalmazia

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