Arduino Coppettari mi racconta della sua vita al Centro smistamento profughi di Udine. “Siamo stati lì per un mese – ha detto – dove i
bambini e le donne venivano separati dagli uomini nelle camerate; per mangiare
si doveva andare alla mensa della Pontificia Opera Assistenza (POA) coi piatti
de latta”.
Arduino Coppettari, in seconda fila con la camicia grigia, a un recente incontro dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD)
È uno dei tanti ricordi dell’esodo giuliano dalmata, quello
di Arduino Coppettari, nato a Isola d’Istria nel 1950. Ora vive a Nogarole
Rocca, in provincia di Verona. Ha un modo di parlare un po’ ridicolo. Mi
perdonerà il signor Arduino se scrivo così, ma egli parla in dialetto istriano
con un forte accento romanesco. Ecco perché fa un po’ sorridere. Anche questi
sono gli esiti della profuganza.
“Dopo de Udine – ha continua Arduino – ci
hanno messo nel Centro raccolta profughi (CRP) de Latina per tre anni, là è poi
sorto il Villaggio Trieste, per dare una sistemazione abitativa ai profughi e
se fazeva ‘na coda per magnar dalla mattina alle 10, perché se zera in 3.000,
compresi i senza tetto de Montecassino”.
Allora domando quando sono fuggiti sotto la pressione e le violenze titine.
“Siamo venuti via nel 1953 – ha replicato il signor Coppettari – perché mio
papà, nativo de Rovigno, era stato dichiarato nemico del popolo. Cattivi, ci
hanno inculcato il terrore di essere fascisti”. Fanno dispiacere certe
etichette, così tanto che “ancor oggi, da pensionato, viene un po’ di emozione”
– mi dice Arduino, col groppo in gola. È il tipo di fuga che hanno dovuto
attuare che lo fa star male. Io non voglio andare avanti con l’intervista. Il
signor Arduino si rimette in sesto, così decidiamo che non c’è tempo per andare
a fondo su questa parte dell’accaduto.
“Al CRP de Latina – ha aggiunto il signor Coppettari – i
omini uscivano alle 6 per andare al lavoro e si doveva rientrare entro le ore
19 al corpo di guardia, ci presero le impronte digitali, eravamo nella vecchia
caserma dell’82° Reggimento Fanteria, c’erano tanti de Rovigno, oggi lì c’è
l’università”.
Ci sono altri ricordi? “Ricordo che una mia bisnonna era
Francesca Fabris – ha spiegato Arduino – e
un nonno bis lavorava alle poste tra Canfanaro e Rovigno sotto l’Austria,
eh! Mi raccontavano che è stata proprio l’Austria dopo il 1848 a slavizzare
tutto in funzione anti-italiana in un’Istria che era italiana al 95 per cento.
La gente di Latina diceva che eravamo slavi e al lavoro a Udine in ferrovia,
siccome provenivo da Latina, i colleghi si dicevano tra loro: Viôt che chel li al è teron (Attento che quello lì è terrone)”.
Per la cronaca, Arduino Coppettari è l’intervistato n. 363 del mio archivio.
Cartolina da Neresine. Foto da Internet
Altri racconti del
popolo in fuga
“Io sono esule da Pirano, Zona B, siamo fuggiti tra il 1958 e
il 1959” – ha esordito così il signor Claudio Apollonio, cresciuto a Bertocchi,
frazione di Capodistria, fino al 1953. “Ci siamo dovuti dividere in famiglia –
ha spiegato il signor Apollonio – siamo venuti via un po’ per mare e un po’ per
terra, così non ci hanno presi e siamo riusciti ad arrivare a Trieste, dove
siamo stati ospiti del Campo profughi della Risiera di San Sabba per sette
giorni”.
Poi cos’è successo? “Poi siamo stati al Centro smistamento profughi di via Pradamano a Udine, mi ricordo che da bambino mi piacevano tanto
i reni ed andavo a guardarli allo scalo vicino al campo profughi, poi la mia
famiglia ha avuto la casa a Busto Arsizio, lì i giovani si sono sposati e si è
messo su famiglia”.
Vi hanno mandato in qualche altro Centro raccolta profughi?
“Sì – ha concluso il signor Apollonio – abbiamo vissuto per sette anni al
Villaggio San Marco di Fossoli di Carpi, in provincia di Modena, mi ricordo di
quel posto perché i miei genitori facevano l’albero di Natale e per addobbarlo
usavano delle semplici arance, era bellissimo”.
Un altro intervistato ricorda un battesimo del 1959 a Dignano
d’Istria, in pieno regime jugoslavo di Tito. “Metà della mia famiglia è esule e
l’altra metà è rimasta – ha detto Livio Sessa – così in estate negli anni
1950-1960 andavo dagli zii a Dignano e lavoravo con loro nei campi, se parlava
istrian e croato. Per passare i confini c’erano dei severi controlli da parte
dei graniciari, che temevano fughe di giovani verso Trieste e mi ricordo il
battesimo di un mio parente, io facevo da santolo, era il 1959, non si poteva
andare dai preti secondo i titini, così si esce di sera tardi e si va in chiesa
a Dignano per battezzare il piccolo, poi si rientra a piccoli gruppi per non
dare nell’occhio, è andato tutto bene”.
Ho trovato dei discendenti di esuli istriani persino tra i
tecnici di Telefriuli, dove sono stato invitato per una trasmissione sui temi
storici. “Sa che i miei nonni e i miei bisnonni erano di Pola – mi dice il signor
Gabriele Gustin, mentre mi sistema il microfono per la diretta sui temi
dell’esodo giuliano dalmata – pensi che ho parenti nell’Indiana (USA) e in
Australia”. Posso raccontare anche di lei? “Sì, ma adesso devo andar nell’altra
sala”.
Tessera dell'ANVGD del 1959. Coll. privata Udine
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Fonti orali
L’autore desidera ringraziare gli intervistati, che hanno
accettato di raccontare la propria esperienza di fuga dalla Jugoslavia, anche
se tragica e disorientante. L’intervista a cura dello scrivente si è svolta a
Udine con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.
- Claudio Apollonio, Capodistria 1947, esule a Busto Arsizio
(VA), int. telefonica del 2 giugno 2018.
- Arduino Coppettari, Isola d’Istria 1950, esule a Nogarole
Rocca (VR), intervistato a Padova il 9 giugno 2018.
- Gabriele Gustin, trentenne, tecnico audio di Telefriuli, int.
a Tavagnacco (UD) del 9 febbraio 2018.
- Livio Sessa, Trieste 1942, int. del 19 maggio 2018, con
ricordi su Pola e Dignano d’Istria.
Bibliografia ragionata
- Elio Varutti, Italiani
d’Istria, Fiume e Dalmazia esuli in Friuli 1943-1960. Testimonianze di profughi
giuliano dalmati a Udine e dintorni, Udine, Provincia di Udine / Provincie
di Udin, 2017. Anche nel web.
- Esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia fino in Sicilia? Ebbene sì,
ben tre erano i Centri Raccolta Profughi (CRP) attivati nell’isola: a Termini
Imerese, provincia di Palermo, a Cibali, quartiere di Catania e a Siracusa.
Vedi l’interessante libro di Fabio Lo Bono, Popolo
in fuga. Sicilia terra d’accoglienza. L’esodo degli italiani del confine
orientale a Termini Imerese, Lo Bono editore, Termini Imerese (PA) prima
edizione 2016, seconda edizione 2018.
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Servizio redazionale, di fotografia e di Networking a cura di
Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti.
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