È un luogo della Shoah dal 2006. Si deve sapere che il 21
novembre 1943 sul piazzale della stazione di Borgo San Dalmazzo, in provincia
di Cuneo, sono state ammassate 329 persone di fede ebraica per deportarle nei
lager nazisti.
Erano adulti, bambini e vecchi. Sul binario si tenevano raggruppati
tra di loro per parentela familiare. Furono spediti prima al campo di concentramento a Nizza e
poi al campo di Drancy, presso Parigi e, infine, ad Auschwitz, dove 311 di loro
furono eliminati. Altri rastrellamenti di ebrei seguirono nel 1944 con l’invio
di ulteriori 26 individui a Fossoli di Carpi, in provincia di Modena, da dove furono
costretti a proseguire verso Auschwitz e Buchenwald.
Da Borgo San Dalmazzo partirono
il 15 febbraio e soltanto due di loro sopravvissero. Il convoglio che poi partì
da Fossoli il 22 febbraio 1944 trasportava così, oltre a Primo Levi, anche 23
dei 26 internati di Borgo San Dalmazzo in direzione Auschwitz. Costoro
transitarono per Venezia, Udine e Tarvisio (che è vicino all’Austria), in
direzione di Vienna e poi di Auschwitz.
La storia del campo di Borgo San Dalmazzo è suddivisa in due parti.
Dapprima, dal 18 settembre al 21 novembre 1943, vi furono rinchiusi 349 prigionieri
di diverse nazionalità. Erano in prevalenza ebrei polacchi, francesi e tedeschi,
ma anche austriaci, rumeni, ungheresi e greci. Essi erano provenienti per lo
più da Saint Martin Vésubie, sulle Alpi Marittime, una residenza coatta creata
dalle forze di occupazione italiane nella Francia del Sud, che tendenzialmente
salvò certi ebrei. Non tutti gli ebrei stranieri arrivati in Italia da St.
Martin Vésubie dopo l’8 settembre – in seguito al disfacimento dell’esercito
italiano – furono internati a Borgo San Dalmazzo.
Su circa 800 persone si salvarono
coloro che riuscirono ad allontanarsi dall’area prima dell’arrivo dei tedeschi.
I fuggitivi raggiunsero la Svizzera o, attraverso Genova, Firenze e da lì le
zone liberate dagli Alleati. Altri ebrei si nascosero nei boschi tra le valli
Gesso e Stura, sopravvivendo con l’aiuto degli abitanti locali. In alcuni casi aderirono
alla lotta partigiana, fino alla Liberazione. I prigionieri arrestati dopo il
bando emanato dai tedeschi il 18 settembre 1943 che ordinava l’arresto
immediato di tutti gli stranieri presenti nella zona, rimasero al campo di
Borgo S. Dalmazzo un paio di mesi. La mattina del 21 novembre 1943, su ordine
dell’Ufficio antiebraico della Gestapo di Nizza, furono internati.
La seconda fase del campo di concentramento cuneese si aprì
nel dicembre 1943, dopo che la carta di Verona aveva formalizzato, nell’Italia
della Repubblica di Salò, la cattura degli ebrei. Il campo di Borgo San Dalmazzo fu allora
riaperto dai fascisti e destinato al concentramento degli ebrei della
provincia. Ventisei persone, in maggioranza donne, furono così internate nella
caserma, sorvegliata e diretta da italiani. Il 13 gennaio 1944 la Questura di
Cuneo dispose che i ventisei internati, tra i quali 18 donne e 8 uomini, fossero tradotti
straordinariamente al campo di concentramento di Carpi (Modena), cioè a
Fossoli.
In questo modo le autorità italiane rispondevano alle direttive dei
nazisti, che, volevano raggiungere in tempi stretti un numero di prigionieri
sufficiente a organizzare un trasporto “economico” ad Auschwitz. I nazisti, nei
loro manuali, prevedevano di stipare almeno 50-80 persone per carro bestiame,
altrimenti il trasporto sarebbe stato antieconomico per il grande Reich.
Non c’è molto di artistico in questo Memoriale della
deportazione inaugurato il 30 aprile 2006. È un’opera immanente e forte in
chiave etica. Nell’installazione si vedono tre vecchi vagoni ferroviari per il
trasporto di merci, uno dei quali reca tracce di alcune scritte in lingua
tedesca. Sono di certo dei pezzi storici. Non saprei se furono proprio i mezzi
della deportazione verso lo sterminio.
Il monumento è stato voluto dal Comune di Borgo San Dalmazzo,
dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Cuneo, dalla Comunità Ebraica di Torino Sezione di Cuneo, dall’Istituto Storico della Resistenza e della Società
contemporanea in provincia di Cuneo, da Alcotra e da La Memoria delle Alpi, con
un finanziamento dell’Unione Europea, Progetto INTERREG.
Il memoriale giace su una placca in cemento per ricordare il sito
– la banchina ferroviaria – da cui i prigionieri vennero inviati per il loro
viaggio terribile con i patimenti e la sofferenza. Nella maggior parte dei casi
ci fu la morte. Sulla
piastra in calcestruzzo sono posizionate venti sagome in piedi, per rappresentare
i sopravvissuti. A terra, sono fissate 335 lastre, riportanti il nome, il
cognome, l’età, e la sigla della nazionalità d’origine dei deportati e uccisi.
Si erano riuniti per gruppi familiari.
Il monumento è circondato da massi e sassi di varie dimensioni.
Spiccano i tre vagoni bestiame che, di sera, sono illuminati dal basso. Ciò
conferisce all’area monumentale un effetto toccante. E’ possibile visitare i
vagoni merci; i diversamente abili possono accedere ad uno di essi tramite una
rampa di accesso. Nella mia visita, tuttavia, li ho trovati chiusi, forse per
impedire atti di vandalismo. All’entrata del Memoriale un pannello introduttivo
illustra le motivazioni del monumento in quattro lingue: italiano, francese,
inglese e tedesco.
Sono spiegate poche notizie storiche, come deve essere una
targa turistica, di quelle del turismo della memoria. Mi sarebbe piaciuto
trovare il nome dell’autore di questo progetto, ma non l’ho trovato. Si legge
solo che lo Studio Kuadra, di Cuneo, ha realizzato l’opera. Forse sono più importanti
i nomi degli ebrei uccisi. Sono segnati lì, in posizione orizzontale, a
differenza dei pochi che si salvarono dall’olocausto, segnati in verticale.
Importante è riflettere su ciò che è accaduto, su chi ha
fatto certe leggi di discriminazione, su chi ha prelevato, imprigionato e
ucciso. Certi osservatori sostengono di pensare anche a chi girava la testa
dall’altra parte per non vedere. Curioso è il fatto che la tabella informativa
non dica chi ha arrestato, deportato e ammazzato ebrei solo perché di religione
diversa dalla maggoranza. Dopo l’8 settembre 1943, data della comunicazione dell’armistizio tra
Italia e alleati, i tedeschi invadono l’Italia del nord e del centro. Quella
del sud era in mano angloamericana, le cui truppe erano sbarcate in Sicilia il
10 luglio, senza trovare grossa resistenza, tanto che liberarono l’isola in 39
giorni.
Gli ebrei ammassati a Borgo San Dalmazzo erano fuoriusciti
dalla Francia, ma provenienti da mezza Europa, poiché in fuga dalle grinfie
naziste. Il loro arresto è stato condotto dai nazisti e dai repubblichini.
Oggi questo è un luogo della Shoah piemontese e italiana.
Cerchiamo di non scordarlo. Onorare quelle perdite umane non è solo un
ripetitivo rituale del 27 gennaio – Giorno
della Memoria – ma è un modo per acquisire maggiore consapevolezza,
affinché certi fatti non accadano mai più.
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Bibliografia
- Alberto Cavaglion, Nella
notte straniera. Gli ebrei di St.-Martin Vésubie, L’Arciere, Cuneo, 1981.
- Walter Laqueur, Alberto Cavaglion (curr.), Dizionario dell’Olocausto, Einaudi,
Torino, 2004.
- Liliana Picciotto, Il
libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia,
Milano, 2002.
Sitologia
- Testo ripreso dal sito del Comune di Borgo San Dalmazzo. Visualizzazione
del 3 giugno 2018.
- E. Varutti, Ebrei a Udine sud e dintorni, 1939-1948. Deportazione in Germania e rientri,
on-line dal 11 novembre 2016.
- E. Varutti, Shoah, ebrei di Fiume salvatisi in Friuli e il ruolo dei Mistruzzi, on-line dal 10
gennaio 2018.
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Servizio giornalistico e di Networking a cura di Girolamo
Jacobson e E. Varutti. Fotografie di Elio Varutti.
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Buongiorno,
RispondiEliminala contatto dal Comune di Borgo San Dalmazzo (Ufficio Cultura), avremmo piacere di poter pubblicare (se ne capitasse l'occasione) copia di qualche sua foto acquisita da questo blog: potrebbe farle piacere e, quindi, rilasciarci una liberatoria in tal senso? Grazie.
cultura@comune.borgosandalmazzo.cn.it
Certo che sì. Acconsento che pubblichiate le foto in questione. Distinti saluti.
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