È la storia del Centro raccolta profughi (Crp) di Termini Imerese, in provincia di
Palermo. Il testo era già stato edito nel 2016. L’autore, nel 2018, ha voluto
aggiornare ed arricchire di ulteriori testimonianze la sua pregevole e
meritoria opera. Il Crp di Termini
Imerese fu attivato nell’estate del 1948 presso la caserma “Giuseppe La Masa” e
chiuse i battenti alla fine dell’estate del 1956, dopo aver ospitato circa due
mila profughi dell’esodo giuliano dalmata, molti dei quali si sistemarono in terra sicula.
Roma, 8 ottobre 2018 – presentazione di Popolo in fuga di Fabio Lo Bono, primo a destra, vicino a Umberto Smaila
ed altri pregiati relatori
L’itinerario di diversi esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia, una
volta abbandonata la Jugoslavia, vede toccare il Crp del Silos a Trieste, che fino al 1954 non è Italia, ma
Territorio Libero di Trieste, sotto protezione degli alleati. Dalla stazione di
Trieste gli esuli vengono inviati al Centro smistamento profughi di Udine, sito
in via Pradamano, presso la stazione ferroviaria e da lì sventagliati per gli
oltre cento Crp sparsi per
l’Italia, Termini Imerese incluso. L’autore documenta molto bene tale passaggio
a p. 92. A Udine passarono cento mila profughi dal 1945 al 1960, quando chiuse il Centro. Secondo molti autori in tutto fuggirono oltre 350 mila individui dalle terre perse.
Come mi è capitato già di affermare in precedenza, nel 2017, l’autore
dedica alcune importanti pagine iniziali alla storia e alla geografia del
confine orientale d’Italia. Si sofferma anche sull’invasione italiana e tedesca
della Jugoslavia del 1941. Alcune pagine sono dedicate all’occupazione italiana
dei Balcani, con un cenno al generale Mario Robotti che ebbe il demerito di
scrivere nei suoi dispacci, riguardo alla repressione contro gli slavi
indomabili: «Si ammazza troppo poco». Oppure l’altro generale Mario Roatta, il
quale spiegava di incendiare i villaggi dei ribelli slavi e di deportarne gli
abitanti infedeli (p. 36). Tali comportamenti criminali, giustificati sotto il
termine di rappresaglia militare, secondo le alte sfere fasciste, comportarono in
realtà un crescente desiderio di vendetta e di pulizia etnica degli jugoslavi
contro tutto ciò che fosse italiano.
La copertina del buon libro di Fabio Lo Bono, 2.a edizione
Vorrei confermare, come ho già scritto, che il volume di Lo
Bono è assai interessante ed originale nella metodologia di ricerca, basata
sulle fonti documentarie, ma anche su alcune testimonianze orali. Dopo aver
sondato gli archivi dell’Ufficio Anagrafe di Termini Imerese, della locale
Biblioteca Comunale “Liciniana”, del Museo Civico “Baldassare Romano” e,
persino, i Servizi Cimiteriali del Comune siculo, l’autore si è avvalso della
una sitologia del mondo degli esuli giuliano dalmati e di altri siti web,
nonché di vari periodici a stampa e documentari-film nazionali.
Il testo è arricchito dalla Prefazione alla prima edizione di Giuliana Almirante De’ Medici, la
quale accenna al fatto che nel 1963 ci fossero ancora 15 campi profughi aperti,
con quasi 8.500 esuli da insediare, nonostante una legge fissasse al 1960 la
chiusura di tutti i CRP della penisola. Poi valorizza il Giorno del Ricordo.
Poi c’è una Prefazione
alla seconda edizione di Mario Micich, che azzarda un’ipotesi metodologica.
“Occorrerebbe – ha scritto – che, sul modello di Lo Bono, si scrivesse una
storia degli insediamenti di esuli giuliano dalmati in ogni regine italiana”
(p. 10).
Il giornalista Guglielmo Quagliarotti nella sua Presentazione alla prima edizione, oltre
a lodare il lavoro certosino di Lo Bono, si sofferma sui ritratti che emergono
dalle interviste rivolte ai personaggi ospiti nell’ex-caserma “La Masa” e sulle
icone dell’esodo giuliano dalmata, come Nino Benvenuti, Alida Valli, Mario
Andretti, Sergio Endrigo e Mila Schön. Nella seconda edizione troviamo altre
coinvolgenti biografie di giuliano dalmati notevoli, come lo stilista Ottavio
Missoni, l’atleta Abdon Pamich e il cabarettista Umberto Smaila.
Fabrizio Somma nella Presentazione
alla seconda edizione cita la strage di Vergarolla e una serie di autori
che hanno dato una svolta alla letteratura dell’esodo, china su se stessa e
raramente apprezzata in campo nazionale. Oltre che a Fulvio Tomizza, il
riferimento va a Anna Maria Mori ed altri scrittori come Giovanni Maiani e Roberto
Stanich.
Roma, 8 ottobre 2018 – presentazione di Popolo in fuga di Fabio Lo Bono, giunto alla 135^ occasione pubblica
Nell’Introduzione alla
prima edizione di Francesco Pira, docente di Comunicazione e giornalismo
all’Università degli Studi di Messina, rammenta i “carri di bestiame che
partirono tra gli sputi e le urla dei Titini per trovare dei luoghi dove poter
sopravvivere, ma almeno continuare a vivere”. Questo volume ha “il pregio di
raccontare come la Sicilia, terra che incute timore in tutto il mondo,
marchiata dalla mafia, ha sempre dimostrato di essere un luogo di grandissima
accoglienza con straordinari abitanti capaci di una generosità senza confini”
(p. 22).
Antonio Ballarin, presidente della Federazione delle
Associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, nella sua Introduzione alla seconda edizione,
esalta il ruolo sociale del volume. Il testo di Lo Bono “si inserisce dentro un
progetto di ricostruzione minuta di storie, vicende umane e percorsi che
insieme danno carne e consistenza umana al concetto di memoria” (p. 26).
Oltre ad una abbondante bibliografia e alla Appendice orientata al tema, il volume
si avvale di quattro post-fazioni. Nella
prima, di Enzo Giunta, è spiegato come il prodotto di Lo Bono tolga
dall’oblio un pezzo di storia di Termini Imerese, quando il paese siculo ospitò
circa duemila profughi di Fiume, di Zara, dell’Istria e della Dalmazia. Poi c’è
l’intervento di Loredana Bellavia, che punta ad una Storia che sia «punto di
partenza ai fini di un umanesimo etico fondato sulla valorizzazione delle
preziose diversità di tutti gli uomini» (p. 220).
Una terza postfazione è quella di Augusto Sinagra che ricorda
quelle che furono, anche se per poco (1941-1943), delle città italiane dell’Adriatico
orientale, come Spalato, Sebenico, Cattaro e Ragusa. Lo scrittore accenna all’importanza
di aver a disposizione alte testimonianze di esuli, come quelle dei fiumani
Orlando Sicara e Martino Casagrande. Poi ci sono quelle del polesano Romano Bosich, di Bruna Fiore da Fianona, di
Loretta Crivici da Cherso, di Rosanna Godena da Rovigno d’Istria e di Sonia
Bertini da Zara (pp. 223-224).
Sono assai interessanti le testimonianze raccolte da Lo Bono.
Le interviste sono corredate con una serie di documenti originali, come
fotografie del tempo, diari, lettere, dichiarazioni di opzione per la
cittadinanza italiana e fotografie di oggi.
La locandina per la presentazione a Roma del libro Popolo in fuga
Un pezzo di storia da
divulgare
Il 9 ottobre 2018 l’autore ha raggiunto la 135^ presentazione
del volume di Fabio Lo Bono. La vicenda del Crp
di Termini Imerese è da divulgare ancor di più. Grandi meriti vadano a
chi si è preso la briga di farlo in modo scientifico e senza rancori. Si sa ancora troppo poco
dell’esodo giuliano dalmata. È importante raccontare le varie storie dei Campi
profughi, come venivano semplicemente chiamate quelle strutture di accoglienza
degli anni 1945-1972.
L’evento della 135^ presentazione di “Popolo in fuga” si è
tenuto nella prestigiosa sala del Senato della Repubblica “Istituto di Santa
Maria in Aquiro” a Roma. Per il successo di tale operazione Lo Bono ha voluto
ringraziare i Senatori Raffaele Stancanelli e Massimo Ruspandini, l’onorevole
Federico Mollicone, Antonio Ballarin, Marino Micich, oltre a Emanuele Merlino,
Giuliana de'Medici e Guglielmo Quagliarotti. Un grazie particolare ha inteso
riservarlo all’amico, fiumano doc, Umberto Smaila e, in ultimo, un grazie di
cuore per l’amicizia profonda e sincera all’amico di sempre Carmelo Pace.
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Note dal web
È successo che il signor Aldo Costante, nato a Fiume il 25
marzo 1943 (così leggiamo in Facebook), dopo aver letto della riedizione de Il popolo in fuga, abbia scritto, il 17
ottobre 2018, il seguente messaggio nel gruppo di Facebook “Un Fiume di
Fiumani!”. Si propone qui di seguito il suo post.
“Io sono probabilmente ancora uno dei profughi, figlio di
profughi, che ha vissuto nel campo di Termini Imerese. Ho dei ricordi
indelebili di quel periodo e qualche foto. Lì ho trascorso la prima parte
della mia infanzia. Ci sono passato giorni fa e nella caserma-campo profughi c'è
ora la sede del Comune. Fuori, in quel grande giardino, esiste ancora il campo
da basket, costruito da mio fratello e tanti amici profughi, dove facevano
tornei. Poi venimmo a Genova dove la città NON ci ha accolto bene. Ci ha
tollerato”.
Termini Imerese 2016 - La lapide per ricordare il campo
profughi degli esuli istriani, fiumani e dalmati. Si è riconoscenti per la
diffusione e pubblicazione della fotografia a: Lions Club Termini Imerese Host– Lions Club Termini Himera Cerere
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Sitologia
E. Varutti, Il Campo Profughi giuliani di Termini Imerese, Palermo, on-line dal 16 marzo 2017.
Ringraziamenti
Fotografie dal profilo Facebook di Ed. Lo Bono che si
ringrazia per la diffusione e pubblicazione. Per la foto della lapide del Crp si è grati a: Lions Club
Termini Imerese Host – Lions Club Termini Himera Cerere.
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Il libro qui recensito
Fabio Lo Bono, Popolo in fuga. Sicilia terra d’accoglienza (1.a edizione: 2016), Lo Bono editore,
Termini Imerese, provincia di Palermo, 2.a edizione ampliata, 2018, pagg. 240,
fotografie b/n e a colori, 20 euro.
ISBN 978-88-94-1921-1-7
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