Riguardo alla seconda guerra mondiale, fino agli anni 1960-1970,
c’era il modo di dire: Italiani, brava
gente, che fu pure il titolo di un film del 1965.
Copertina del volume di Vasko Kostić in edizione originale con caratteri cirillici del 2011
Si voleva intendere che si erano comportati bene in guerra i soldati
italiani fino all’armistizio del 1943. Poi, a cominciare da Indro Montanelli,
si svelava l’uso dei gas nell’occupazione dell’Etiopia. Si sviluppa allora una
certa letteratura tendente a svelare certe malefatte dei militi, soprattutto
quelli in camicia nera. Col nuovo secolo vengono a galla documenti nei quali
generali italiani scrivono e firmano che in Jugoslavia “si ammazza troppo
poco”. Nel 1942 ammonisce
così il generale Mario Robotti, comandante del XI Corpo d’Armata italiano in
Slovenia e Croazia. Il suo diretto superiore generale Mario Roatta rincara la
dose: “Non dente per dente, ma testa per dente”.
Oppure viene scoperto il principio espresso, il 15 dicembre 1942, dal generale Gastone Gambara, da poco insediato comandante del XI Corpo d’Armata italiano nei Balcani. Egli scrive che
il “campo di concentramento non è un campo di ingrassamento”. Si scopre che gli
italiani amanti del mandolino e della pastasciutta hanno aperto campi di
concentramento per internare elementi sloveni e croati, donne e bambini
inclusi.
Cartolina dei primi del Novecento. Portatore d’acqua cieco e
Casa turca a Buccari (didascalia originale). Immagine dal web
Succede così al Campo di concentramento dell’Isola di Arbe, nel Golfo
del Quarnaro e in quello di Gonars (UD). Certi ufficiali italiani, nel dopo
guerra, si ricoprono del sospetto di essere dei criminali di guerra, reclamati
dalla Jugoslavia. Si veda: The
Central Registry of War Criminals and Security Suspects, supplementary
Wanted List No. 2, Part 2 - Non Germans (September 1947), Uckfield 2005, Naval
& University Press.
Allo stesso tempo dagli anni 1990-2010 compaiono in libreria
altri testi che rivalutano per così dire lo slogan Italiani brava gente. Mi riferisco al salvataggio degli ebrei nel
Campo di concentramento di Arbe, oppure a tutti quelli salvati dalle grinfie
naziste dai militari italiani nella Francia meridionale.
Ora desidero recensire un libro di Vasko Kostić, uscito nel
2014 nella traduzione italiana, che esalta le virtù dei soldati italiani
durante l’occupazione del Montenegro rispetto ai tedeschi. Il testo riferisce degli internati
iugoslavi a Presa, o Preza, in Albania, in un Campo di concentramento gestito dagli
italiani, di cui poco si sa. A Presa sono imprigionati impiegati della pubblica amministrazione,
maestri, professori, intellettuali, medici, impiegati bancari e altri il cui
libero pensiero non comunista poteva influire che non voleva accettare
l’annessione italiana delle Bocche del Cattaro (Vasko Kostić, pag. 67). Le
condizioni di vita in tale campo di concentramento sono definite “sostenibili”.
1941 – Navi catturate dagli Italiani alla Marina iugoslava
nella Baia di Cattaro. L’incrociatore “Dalmacija”, già “Niobe” tedesco, usato
poi dagli Italiani come “Cattaro” fino al 1943. Vicino a due posamine “Mljet” e
“Meljine”, a sinistra. Fonte: Archivio federale tedesco, Coblenza,
Germania / Bundesarchiv
Il libro integra e completa i precedenti saggi redatti
sull’occupazione italiana della Dalmazia, affidando ai ricordi di un
adolescente di Cattaro la descrizione della occupazione della Jugoslavia;
testimonianza integrata, ove necessario, dalle memorie e dai diari storici
custoditi presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore
dell’Esercito. Nel libro si rivelano le esperienze del giovane, le sue
impressioni sia sull’occupazione italiana sia sulle azioni svolte dai soldati
italiani, dando un quadro completo e chiarificatore di moltissimi avvenimenti
militari occorsi in quello scacchiere e tuttora poco noti.
Prima di tutto c’è da ribadire che Cattaro, nel 1941, è una
provincia annessa al Regno d’Italia, fino al 1943. L’autore del memoriale
scrive che diversi “bocchesi”, ossia gli abitanti delle Bocche del Cattaro, si
sentono italiani. Sarà per i vecchi ricordi della dominazione veneziana, sta di
fatto che i militari italiani li trattano come cittadini dello stesso stato.
Ciò desta stupore, meraviglia e invidia da parte dei montenegrini dell’interno.
Molti bocchesi non sono comunisti (vedi: Vasko Kostić a pag. 112), anche se a
guerra finita il regime di Tito ed i suoi storiografi, li fanno appartenere al
comunismo per comodità politica.
Cattaro, 1930. Due isole, due chiese. Immagine dal web
C’è poi un dato sconvolgente. L’uccisione di partigiani
iugoslavi da parte di partigiani titini. Già denunciata in Slovenia, tale
pratica si rileva anche nel sud della Jugoslavia durante la seconda guerra
mondiale. Lo ha raccontato, quando poteva parlare liberamente dopo il
2010-2011, Vasko Kostić in questo libro riguardante gli italiani della
provincia di Cattaro, annessa al Regno d’Italia dal 1941 al 1943. Lo stesso
Vasko Kostić cita un altro autore che è Nedjeljko Zorić, il quale riferisce un
diktat dei partigiani titini del Montenegro: “Comunisti che non eseguono
l’ordine – pallottola in testa!” (Vasko Kostić, pagg. 40, 121, 126).
L’enunciato nella sua crudezza criminale è cinicamente assai convincente. Viene
eseguito, infatti, con zelante precisione in tutta la Jugoslavia.
Poi ci sono i partigiani comunisti montenegrini che non
riuscendo a fare molti adepti nelle Bocche del Cattaro trovarono la morte in
strane circostanze. Il tale Božo Barbić, attivista locale, non voleva “andare
in brigata” (ovvero partigiano titino). Anzi scappa nella foresta di Lustizza,
per evitare l’impiccagione promessagli. Tale sgarbo rivolti ai titini gli costa
assai caro. Muore, poco dopo, come si viene a sapere colpito da un… fulmine!
Oppure altri patrioti non comunisti periscono per un colpo di fucile partito
“per caso” dall’arma di un titino (pp. 106-107).
Perasto, anni ’40. La cittadina del Montenegro, di origine veneziana, è
famosa per il giuramento alla caduta di Venezia nel 1797. Immagine dal web
Vasko Kostić scrive liberamente dopo il 2010-2011. Fino a
qualche anno prima la censura iugoslava gli bloccava ogni suo articolo sulla
stampa locale. Egli è un serbo delle Bocche del Cattaro, nato nel 1930, pilota
militare e controllore di volo, ingegnere con tre lauree, storico, pubblicista
e scrittore, membro dell’Associazione montenegrina degli storici. Ha al suo
attivo più di quaranta libri e oltre 800 pubblicazioni.
Naturalmente riporta anche dei cambi di casacca nelle Bocche
del Cattaro. Chi dal 1941 veste divise fasciste, coi figli balilla o della GIL, dopo la guerra diventa niente meno che un
quadro del Partito comunista locale (p. 74).
Anche in questo interessante volume ci sono storie riferite
agli ebrei. Essi nel 1941 vengono concentrati nel Campo di Kavaja, in Albania,
ricevendo “un significativo aiuto e protezione da parte della Croce rossa. Si
trattava di gente molto abbiente che, al momento della disfatta della
Jugoslavia, riuscì a raggiungere le Bocche del Cattaro, cercando sostengo e
protezione. Sapevano che arrivando nelle Bocche avrebbero avuto salva la vita e
infatti trovarono rifugio nei campi italiani. È chiaro cosa sarebbe loro
successo se fossero rimasti nel territorio occupato dai tedeschi o nello stato indipendente croato” (p. 67).
C’è anche un dato numerico assai interessante. “Nell’aprile
1942, da Pristina a Presa furono portati 79 ebrei” (p. 145).
Risano, Bocche di Cattaro. Cartolina degli anni ’40 ripresa
dal web
Insomma è un libro da leggere e rileggere per capire che gli
italiani nel secondo conflitto mondiale non sono tutti come Robotti, Roatta e
Gambara. C’è chi si è fatto molto onore. Alcuni reparti, dopo l’8 settembre
1943, addirittura si schierano con i partigiani iugoslavi per combattere i
nazisti. Molti altri sono imprigionati dai tedeschi che li deportano nei lager
di Dachau, Auschwitz e Birkenau.
Secondo fonti iugoslave, come ha scritto Federico Vincenti in
suo libro a pag. 80, furono 40 mila i soldati italiani presenti nelle file del Narodnooslobodilačka vojska i partizanski odredi Jugoslavije – Novj
(Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia).
Militari italiani in
Montenegro da altri libri
Tra i vari militari italiani impegnati in Montenegro si sono
trovati alcuni nomi di friulani nel libro di Mauro Romanello, del 2016. Ad
esempio c’è il carabiniere, del 1918, Giovanni Candussi, detto Marcello e anche Berico, figlio di Tobia Marcellino di Bressa di Campoformido (UD). Arruolato
volontario dei Reali Carabinieri e promosso vice brigadiere, prima di essere
trasferito in Jugoslavia, prende servizio a Bolzano, Venezia, Bovolenta di Este
(PD). Nel settembre del 1941 è trasferito a Piastre di Cattaro e quindi a
Risano. Dichiarato disperso dopo gli eventi dell’armistizio dell’8 settembre
1943 nella zona di Risano di Cattaro, riesce tuttavia a rimpatriare e si unisce
nel 1944 nelle file della resistenza. È nella Divisione Garibaldi, Gruppo M.
Foschiani, col nome di battaglia “Foglia”, come riporta Romanello a pag. 80 del
suo volume.
Ecco le notizie sull’alpino Mario Zuliani, figlio di Enrico Dree-Manzan, nato nel 1920 a Bressa di
Campoformido (UD). Nel maggio del 1941, con la sua batteria di artiglieria n.
38 del 2° Gruppo Valle Isonzo, si trova in Montenegro, provenendo dai
combattimenti del confine greco-albanese. Sin dal maggio del 1941 in Montenegro
“sono scoppiati moti di ribellione”. Col suo reparto effettua “continui
rastrellamenti anti-partigiani”. Anche nel 1942 l’artiglieria alpina è in
Montenegro. “Nel marzo del 1942 il 2° Gruppo Valle Isonzo confluisce nella 6^
Divisione Alpi Graie, passando alle dipendenze del 6° Reggimento Artiglieria.
Numerosi sono i combattimenti fino a maggio, quando i ribelli si ritirano nella
vicina Erzegovina. A luglio la 38^ batteria raggiunge la vetta del Bobotov Kuk”.
Poi il reparto è spostato di nuovo in Grecia e Albania. Alla data
dell’armistizio sono catturati dai tedeschi e deportati in Germania. L’alpino
Mario Zuliani rientra a casa in Friuli il 20 marzo 1946, come riferisce
Romanello a pag. 238 del suo testo.
La traduttrice dei volumi storici Mila Mihajlović, a destra,
con Anna Maria Zilli,
dirigente scolastico dell’Istituto Stringher di Udine, in un’immagine del 2015. Fotografia di E. Varutti.
Il libro di Vasko Kostić è stato tradotto dal serbo da Mila Mihajlović, giornalista, scrittrice e storica italiana di origine serba, che
lavora alla Rai di Roma dal 1985. La stessa Mihajlović è nota in Friuli dato
che nel 2015, ha presentato a Martignacco (UD) un volume da lei tradotto sul salvataggio dell’esercito serbo effettuato dalla Marina italiana nel 1915.
Il libro recensito qui
Vasko Kostić, Storia di
un prigioniero degli italiani durante la guerra in Montenegro (1941-1943),
Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 2014. Titolo originale in
lingua serba: Preza koncentracioni logor
(Presa, campo di concentramento), 2011, traduzione italiana di Mila Mihajlović,
cura delle bozze di Elio Carlo. Opera pubblicata col contributo del Comitato
Provinciale di Padova dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia
(ANVGD).
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Bibliografia, sitologia
di approfondimento
- Mauro Romanello, Gli oranti di Bressa. Lettere dai fronti di guerra 1941-1943, Udine, Aviani
& Aviani, 2016.
- Sul trattamento degli ebrei di Pristina, in Kosovo, nella
seconda guerra mondiale, si può vedere:
Michele Sarfatti, “Tra uccisione e protezione. I rifugiati ebrei in Kosovo nel marzo 1942 e le autorità tedesche, italiane e albanesi”, «La
Rassegna Mensile di Israel», vol. 76, n. 3, settembre-dicembre 2010, pp.
223-242.
- Per approfondire il tema degli ebrei salvati dall’esercito
italiano a Arbe si può vedere:
E. Varutti, Libro di Menachem Shelah sugli ebrei jugoslavi salvati al Campo di Arbe (Rab), on-line dal 10 luglio 2018.
- Maggiori informazioni sulle fucilazioni di partigiani
iugoslavi effettuate dai titini si trovano nel seguente articolo: E.
Varutti, Giuseppe Baucon, di Gradisca, salvatosi dalla fucilazione titina edalla foiba a Circhina nel 1944, on-line dal 20 settembre 2018.
- Riguardo alle forze militari italiane aderenti alle
formazioni partigiane iugoslave vedi:
Federico Vincenti, Partigiani
friulani e giuliani all’estero, Udine, Anpi,
1980.
Cattaro in una cartolina, da Internet, ai primi del Novecento con didascalia in tedesco e toponimo in italiano
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Recensione di Elio Varutti. Servizio redazionale e di
Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E.
Varutti. Fotografie dal web, da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio
dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato
Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine.
Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di
Udine è Bruna Zuccolin.
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